A Nazareth - in occasione della Festa Patronale Ogni chiesa ha un suo titolo, che la pone in speciale riferimento alla vita di un santo o a un particolare momento della vita di Gesù; molte sono le parrocchie intitolate a un momento della vita di Maria, la Madre di Gesù. Conosciamo parrocchie dedicate alla sua Immacolata Concezione o alla presentazione al tempio, altre al momento dell’Annunciazione, altre ancora alla sua partecipazione al dolore di Gesù sulla croce. La nostra chiesa, nata da una cappella costruita nel 1380 da un pellegrino sestrese che tornava dalla visita alla casa di Maria ricostruita a Loreto, porta il titolo di Maria, contemplandola nella sua vita di Nazareth. Nell’esperienza religiosa testimoniata dalla Sacra Scrittura, il nome delle persone ha un particolare valore; molto spesso accade che sia Dio a dare il nome alle persone e che non sia semplicemente un appellativo anagrafico, ma contenga il senso di una missione, di un compito che Dio affida a quella persona. Massimo Recalcati dice che questo è vero per ogni nome dato dai genitori, che contenga un compito e un destino. Penso che questo sia vero anche per le parrocchie, che non sia uguale essere parrocchia di S. Antonio, di Santo Stefano o di Santa Maria di Nazareth. Trovo che questo sia vero per il fatto che il nostro nome non nasce da un calcolo o da una decisione umana. Quando è stata costruita la prima cappella nessuno poteva immaginare che sarebbe diventata la chiesa di una parrocchia: è accaduto, il nome è stato dato, è un dono. |
Qual è il significato essenziale dell’essere parrocchia di Santa Maria di Nazareth? La casa di Loreto non è la casa dove Maria ha vissuto dopo il matrimonio con Giuseppe e successivamente insieme a Gesù, ma la casa della Annunciazione. Ecco il nucleo essenziale: l’esperienza di Maria che alle soglie della giovinezza prende coscienza che non può progettare la sua vita secondo i suoi desideri, ma scopre una chiamata nella quale le è rivelato che realizzerà pienamente se stessa ascoltando un progetto che l’amore di Dio ha pensato per lei. Nella casa di Nazareth risuonano le parole che Maria dice rispondendo all’invito dell’angelo: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». La casa di Nazareth è dunque il luogo che custodisce l’esperienza della fede, cioè della vita che si apre a riconoscere in Dio la sua origine e il suo fondamento. Pensare alla casa di Nazareth non ci richiama soltanto al momento in cui il messaggero celeste ha fatto irruzione in essa, ma anche a tutti gli altri giorni in cui la vita è stata vissuta nella sua dimensione quotidiana e feriale, ove ugualmente tutto era affrontato a partire da quel principio: ascoltare la parola di Dio e tradurla nelle opere. Penso che quella vita avesse due caratteristiche: la custodia della esperienza di Dio nella dimensione interiore, quello che il vangelo ci ricorda spesso: “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.”. La seconda caratteristica la penso come una esperienza dove non c’è la necessità di dire tante parole, ma conta maggiormente la concretezza del fare. Pensare alla casa di Nazareth come il luogo dove si custodisce la fede, fa sorgere dentro di me una amara constatazione che esprimo in questo modo “Come mai oggi la maggior parte degli uomini e delle donne vivono apparentemente bene, prescindendo totalmente dalla considerazione della presenza di Dio?” È questa una domanda che interpella tutta la chiesa e pur consapevoli di non riuscire a trovare una soluzione, ci deve preoccupare la lontananza dalla fede dei nostri ragazzi, che non considerano importante la presenza di Dio e proprio alle soglie della giovinezza. Ci deve preoccupare altresì, che proprio gli uomini e le donne, nella piena responsabilità della vita, non abbiano più la coscienza della presenza di Dio. Mi piacerebbe che ci fosse qualcuno interessato a parlare di questo. La fede è prima di tutto un dono ed è Dio che fa sorgere la fede nel cuore delle persone. Ritengo però che sia ugualmente necessaria la testimonianza di chi già crede. In particolare ritengo necessari due atteggiamenti: una fede non abitudinaria, ma consapevole e motivata, e una fede non dei giorni festivi, ma di tutti i giorni, che si manifesti attraverso il comportamento della vita. |
il Parroco |