LA DOMENICA don Andrea Buffoli: direttore dell’ufficio liturgico libera trascrizione di Giampiero Barbieri
Introduzione
Il nostro servizio liturgico è accogliente per chi, in diverse occasioni può partecipare per la prima volta?. Come rendere questa esperienza capace di parlare anche agli uomini del nostro tempo? Non basta oggi dire “si deve andare”, perché la gente partecipi. Oggi si partecipa se questo ha senso, se questo serve alla mia vita. I ragazzi della pastorale giovanile di San Bartolomeo, che frequentano questa iniziativa, di fatto non frequentano la liturgia domenicale. Non trovano qualcosa di bello per loro, che serva alla loro vita.
************ Avere una consapevolezza
Tutti vediamo la passione sportiva – lo stesso dovrebbe essere per la domenica – la partita non è forse un rito? Magliette, sciarpe, berretti, fischietti, urlare … il viaggio in pullman … Assistiamo alle chiese sempre più vuote. Oggi la celebrazione dice qualcosa alla nostra vita? Oggi rischiamo di perdere i riti. Tutta la nostra vita è fatta di riti “alzarsi al mattino” “aprire la porta per uscire” “preparare la colazione, il pranzo per la famiglia” “andare al lavoro, prendere il treno, prendere l’auto”. Per tutti questi riti c’è la prova della ripetitività, della noia. La superiamo col nostro cuore. Il rito dice il cuore che lo fa, dice che dietro di essi c’è una esperienza di vita. Così anche per il rito della liturgia. Lo stare a tavola è oggi molto disatteso, sono in crisi i gesti della affettività e della sessualità, è in crisi la liturgia eucaristica. La forza dei riti va rimessa al centro. Il rito è vero se dietro c’è l’esperienza di un incontro, se c’è una persona, se c’è un volto e un cuore, se c’è una comunità che lo celebra. I riti ci fanno spesso fare memoria della nostra famiglia, del gruppo cui apparteniamo. Celebrando i riti siamo condotti alle nostre origini. Il sentirsi famiglia, e nella chiesa comunità, è decisivo. Se il rito non ti riporta a questo, non è autentico. Il rito ha la forza di plasmare la nostra vita. Nella eucarestia c’è il corpo (Lui), la parola, il corpo ecclesiale (ciascuno di noi). Non possiamo disgiungere il pane, la parola, con l’assemblea che celebra. I tavoli, esperienza di sinodalità, mettono al centro il corpo della chiesa, il corpo che è l’assemblea. Essa vive la liturgia come un momento sorgivo per la propria fede. Noi siamo alla liturgia presenti col nostro cammino di fede, in una esperienza di comunità, con le nostre relazioni di fronte a Lui. In una intersoggettività, una liturgia da me solo non è mai una liturgia piena. In gioco c’è la crescita del nostro cammino di fede. Questa consapevolezza è necessaria.
****** La festa
Ad un giovane prete che sa trascinare i ragazzi è stato chiesto “come fai”? “Sto con loro, sempre, ci sono”, è stata la risposta. Fare per rendere l’altro felice, gratuitamente. Questa è festa. L’eucarestia è stata messa in discussione quando l’uomo ha cominciato a lavorare anche la domenica. Non abbiamo più idea di cosa sia il tempo festivo. La messa è un tempo nostro libero, o è un tempo dove noi lavoriamo? Il tempo festivo non è né l’uno né l’altro, la domenica è il tempo come dono. L’anno liturgico che cambia ci dice che c’è una ciclicità, un percorso, interrotto da cosa? Dalla domenica, il giorno del risorto. Nel tempo festivo riscopri questo: perdere tempo perché il tempo è un dono. Altrimenti viviamo tutto ciò che facciamo come “cose da fare”, ma queste – se non sono nutrite da altro – ci schiacciano. Perché l’esperienza dei campi estivi dei ragazzi tiene ancora abbastanza? Non è che ai campi non fai niente, anzi, spesso fai più che a casa. Questo perché quel tempo lì non è dettato dall’orologio, è un tempo gratuito, dove io so che posso perdere del tempo, perché non è tempo perso. Finche non viviamo la celebrazione eucaristica come quella cornice domenicale dove tu riscopri il tempo come dono, la subiremo sempre, e non aiuteremo in nostri giovani a vivere la domenica così. Quando i giovani si attaccano alle persone adulte? Quando percepiscono che sono disposte a perdere del tempo, che si tolgono l’orologio e che si donano. Questa cosa dona un senso diverso alla domenica, al nostro modo di vivere la liturgia. Ricevi una carica che ti dà la forza di affrontare il tempo di tutti i giorni. Quindi tempo libero, tempo del lavoro, tempo della festa. Far percepire alle persone il senso del dono non è semplice, e passa anche per la cura dei momenti e dei luoghi. Cura è anche avere equilibrio nelle liturgia, non troppo all’omelia rispetto alla eucarestia. Il tempo della festa è il tempo della gratuità.
************** Essere iniziati alla domenica
Non sono le azioni che permettono di iniziare alla eucarestia. È come siamo noi, se non siamo capaci di dono, di gratuità, tutto è vano. Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, Facciamo partecipare i bambini alla messa, ma fino alla quarta elementare non gli spieghiamo cosa è l’eucarestia, glielo spieghiamo nel dettaglio quando li prepariamo alla prima comunione, dando l’idea che la prima comunione è già la completezza dell’eucarestia. Quando un bambino nasce lo nutriamo, lo accudiamo, lo amiamo, lo accogliamo tra le braccia. L’iniziazione cristiana ci dice che per capire bene l’eucarestia, dobbiamo essere accolti nel battesimo, nutriti nell’eucarestia, amati e profumati nella confermazione. Solo a questo punto tu capisci bene la domenica. Essere iniziati alla domenica cosa vuol dire? Vuol dire che dobbiamo domandarci, come comunità cristiane, come poter iniziare le persone a vivere autenticamente il tempo domenicale. Ridirci alcune cose per riscoprire il gusto della partecipazione, mi sembra necessario. Per troppo anni abbiamo detto che il rito e la liturgia informano, cioè danno nozioni. Ma la liturgia non è informativa, la liturgia è innanzitutto per-formativa. Quando il celebrate dice “la pace sia con voi”, è perché la nostra vita cambi. La liturgia è anche una catechesi, ben celebrata, il primo contenuto è la forma ben fatta, ma principalmente ci deve cambiare il cuore. Le azioni che noi compiamo hanno un loro senso, e anche un loro gusto, perché la liturgia ben celebrata ci aiuta a vivere la nostra esperienza di fede. Se i riti non dicessero più niente, vuol dire che le carezze, i baci, le strette di mano non servirebbero più. Invece ci sono dei riti che tengono perché hanno la forza di rimandarti a quella esperienza originaria. Abbiamo bisogno di queste cose, altrimenti la nostra vita si svuota. E così per la nostra fede. Chi dice che l’emotività nella celebrazione eucaristica non c’entra, sbaglia, perché comunque l’emotività c’è. Il pieno coinvolgimento che chiede il Vaticano II, che il coinvolgimento anche del nostro apparato emotivo.
La soglia Perché spesso la vacanza è un viaggio? Per cambiare ritmo, per dimenticare i gesti quotidiani del lavoro, del cucinare, del mettere tavola. Per entrare in vacanza. Questa è la soglia, un passo oltre il quale tutto magicamente cambia, almeno per un po’. Per ritemprarsi, per darsi la carica. Su questo ci può aiutare l’idea della “soglia” – in gergo tecnico “liminalità” – le chiese hanno grandi porte, grandi piazzali, grandi facciate, per dire proprio questo. Per entrare nel rito, nella domenica, per entrare nel tempo festivo, dobbiamo varcare una soglia, che ci aiuta a dire che un posto non è uguale all’altro, che un tempo non è uguale all’altro. Prima della celebrazione, quanto possiamo aiutarci favorendo il silenzio? Dopo è il momento della missione, può starci un comportamento diverso. Entro in chiesa, entro in un luogo “altro”. Ogni esperienza religiosa chiede questa soglia, altrimenti faccio segni, ma abbastanza vuoti. Nel primo anno di catechesi (prima elementare, figli accolti), almeno nella prima parte dell’anno, da settembre fino a Pasqua, i ragazzi potrebbero partecipare all’eucarestia per gradi, prima solo ai riti di introduzione, poi solo alla liturgia della parola, poi alla liturgia eucaristica, e a Pasqua partecipano a tutta l’eucarestia. In quarta elementare, da persona più grande riscopri l’eucarestia. Questo perché da piccoli siamo più recettivi. Poi nei discepoli che amano, la confermazione. Non è possibile che un anni formazione alla cresima non abbia una ripresa dell’eucarestia, in maniera adulta questa volta. Tutto il rapporto dell’eucarestia con la comunità, non lo diciamo mai, però l’eucarestia è inscindibilmente legata alla comunità che la celebra, e alla comunità nella quale io sono inserito. Tutto il messale romano si gioca sul “io” e sul “noi”. Credo, rinuncio, Signore non son degno di partecipare alla tua mensa – è una risposta che devo dare io -, e c’è una comunarietà “rendiamo grazie a Dio” “Padre nostro, rendiamo grazie a Dio”, si gioca sempre su questo filo, tra quello che sono io, quello che devo fare io con la mia esperienza di fede, legata alla comunità. La liturgia senza queste due dimensioni non è liturgia autentica. Questo messaggio lo dobbiamo dare alle comunità dei ragazzi più adulti, quelle dei testimoni.
********* Dibattito Gesti che non comprendiamo? Alcuni li facciamo abitudinariamente, ma non li comprendiamo. Queste cose oggi sono ignorate da ministranti e catechisti. Una volta queste cose erano oggetto di insegnamento. Prima della ragione per cui si fa un rito, una cosa, dietro c’è un cuore, una vita che ti dà significato. Prima di tutto questo, non ci sono istruzioni per l’uso. Bisogna che ci ri-ripetiamo tante cose, perché il gusto delle cose lo ottieni nella misura in cui le conosci. Avere il coraggio di spiegare le cose e dire il significato e l’utilità che hanno per la tua vita, per la tua fede. La “rubrica” è il copione, lo spartito, che però deve essere messo in scena. La cosa primaria è che la gente riscopra la liturgia come incontro col risorto. Una cosa è la liturgia stessa, così come la chiesa ce la offre, capire se essa è ancora adeguata a comunicare le esperienze che Buffoli ha detto (festa, incontro col risorto, il costituirsi come comunità). Forse avere una liturgia che rimane fissa, come determinata dalle regole, oggi può essere adeguato? Non so qual è il pensiero della chiesa per uno sforzo di aggiornamento delle parole, delle preghiere. Mi sembra importante il senso della festa. Come fare per introdurre al senso della festa?. La gratuità, il tempo gratuito, la dimensione comunitaria. L’esperienza che facciamo è ancora quella di un tempo vissuto individualmente, una relazione individuale con Gesù. Questo mi sento di dire. Tutti i sacramenti fanno emergere il legame con la comunità. Nella celebrazione della penitenza, già nella chiesa antica, doveva emergere assieme al perdono con Dio, il legame con la comunità. Cioè il pio peccato ferisce il cammino della comunità. Questa cosa spesso è persa. Dalla pace con Dio deve nascere la pace con la chiesa. Far sì che il battesimo ci inserisca in una comunità non è così facile. Spesso lo si fa fuori della messa, solo con le persone della famiglia. Il rito delle esequie – non è un sacramento – continua a far emergere che il suffragio e la vicinanza sono date da Cristo che ha vinto la morte per mezzo della comunità cristiana. Questo si ottiene non soltanto con la liturgia. E il segno della pace nelle chiese molto grandi? In campagna stavano tutti in fondo. Allora ho tolto quelle sedie, alcuni mi hanno detto “e allora non vengo più”, altri invece “in effetti siamo più raccolti”. In una chiesa grande, con grandi differenze di numero tra festivi e feriali questo sarebbe molto farraginoso. Si devono scegliere altre vie. Nei paesi nordici alla fine della messa il prete va in fondo alla chiesa a stringere la mano alle persone. Perché non lo facciamo? Perché lo stile che emerge in Italia è quello dell’adempimento, di chi smarca una crocetta. I fedeli non vedono l’andare in chiesa come l’andare ad un incontro, sono infastiditi quando sono chiamati ad un incontro “cosa vuoi da me? Lascia che io faccia il mio dovere”. La stessa cosa è anche nella vita dei sacerdoti, tanta liturgia affinché adempiate, messe a tutte le ore. Dobbiamo oggi tenere presente quanto è del prete, quanto della comunità. Va bene dire è il prete che, in realtà è cosa che si fa insieme. Non si risolve solo con un cambiamento del comportamento del prete. L’animatore dovrebbe spiegare perché ci si alza in piedi Talvolta si può fare, occorre compiere gesti parlanti. Non si va a messa per dire “mi è piaciuto”, come si farebbe a teatro. Siamo tutti protagonisti, non andiamo ad assistere ad uno spettacolo. Tutti protagonisti, nessuno spettatore. La messa di mezzanotte non si potrebbe anticipare? Per molti è faticosa. Non esiste un sostegno educativo nella famiglia e nella scuola per cui le regole della liturgia appaiono incomprensibili. Molti sono abituati a considerare gli altri al servizio proprio e non se stessi al servizio degli altri. Nessuna riforma delle regole della messa può far cambiare ciò che arriva dall’esterno. Pertanto non è il caso di ossessionarci così tanto per le regole. |