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   Neanch’io ti condanno Di fronte al
  racconto del vangelo di oggi, sorge spontanea una domanda: “dov’è l’uomo?”
  L’adulterio è quel gesto che viola il legame esclusivo stabilito dal patto
  del matrimonio e riguarda insieme chi tradisce la propria promessa e anche
  chi si insinua in quella promessa, perciò esso riguarda sempre un uomo e una
  donna. Il fatto che ci fosse la flagranza del reato ci fa pensare che anche
  l’uomo fosse stato ben identificato, ma davanti a Gesù soltanto la donna
  viene accusata.  Ci colpisce poi la
  sproporzione con cui veniva valutata quella colpa: la donna che aveva
  commesso tale colpa doveva morire sommersa dalle pietre e questo con il
  consenso della legge. Ci fa ancor più rabbrividire il pensiero che questo
  modo di valutare la colpa della donna è ancora presente in una vasta parte
  del mondo.  C’è ancora una
  ulteriore considerazione da fare: Gesù si trova nel tempio e quegli uomini
  che lo interrogano sono uomini religiosi, i quali pensano che se copriranno
  la donna di pietre fino a farla morire, faranno la volontà di Dio, poiché
  sono autorizzati ad infliggere tale condanna dalla legislazione di Mosè
  contenuta nella Sacra Scrittura che essi, come anche noi, consideravano
  “Parola di Dio”. Ciò che è chiamato in causa nel confronto tra Gesù con gli
  scribi e i farisei, è il modo di pensare Dio e la Sua volontà. Gli scribi
  vogliono provocare Gesù, perché emerga chiaramente che il suo modo di pensare
  Dio, si discosta da quello rivelato nella scrittura.  Il gesto con il
  quale Gesù risponde agli scribi e ai farisei, cioè il fatto che si mette a
  scrivere con il dito per terra, ha suscitato le più svariate interpretazioni:
  dal richiamo alla creazione dell’uomo suggerito dalla polvere della terra, al
  fatto che i peccati scritti nella polvere, al primo soffio di vento
  scompaiono e non se ne conserva più la memoria. Tutte le interpretazioni sono
  molto suggestive, ma non riusciamo ad individuare una interpretazione
  attendibile di questo gesto, poiché il messaggio si fa chiaro soltanto alla
  luce delle successive parole. Prima di tutto Gesù
  denuncia che molte volte l’accanimento contro il male degli altri serve a
  nascondere il male che è dentro di noi. Solo uno sguardo sincero sulla
  propria coscienza riesce a guardare con verità nella coscienza degli altri.
  Il richiamo fatto da Gesù coglie nel segno e quegli uomini se ne vanno ad uno
  ad uno, consapevoli che se Dio fosse uno che tira pietre sui peccati, nessuno
  scamperebbe. Infine si rivolge alla donna rimasta sola, emettendo in nome di
  Dio la sua sentenza: “Neanche io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare
  più”. Non possiamo pensare che Gesù approvi il comportamento della donna o
  banalizzi la gravità del peccato, ma Gesù ha uno sguardo che vede la donna non
  totalmente definita dal suo peccato, il peccato c’è stato, ma la donna non è
  solo quel peccato. Di fronte alla donna, Gesù non la inchioda nel suo male,
  come se quel male ormai fosse ciò che la definisce. Gesù vede la donna oltre
  il suo male, per Lui, ella rimane quella persona creata ad immagine di Dio,
   perciò capace di bene, e  quel bene nascosto, oscurato dal peccato
  ma non totalmente cancellato, Gesù lo riconosce e comunicandole amore,
  ridesta nella donna una nuova coscienza di sé. Suscitando nella donna
  una nuova coscienza di se e del bene che la abita, le indica la possibilità
  di una nuova vita. Gesù agisce così perché vive nei confronti di quella donna
  il riflesso dell’amore che riceve dal Padre. Così Gesù ha rovesciato
  l’immagine di Dio. Dio non è colui che sommerge di pietre il peccatore, ma
  attraverso Gesù, rivela un amore che aiuta a ricominciare oltre il peccato.
  Questo ministero di Gesù è affidato alla chiesa e in qualche modo a tutti
  nella chiesa. Anche tutti noi, di fronte al peccato che vediamo negli altri,
  siamo chiamati a non inchiodare le persone nel loro peccato, ma a generare
  attraverso parole e gesti, esperienze di bene dalle quali i fratelli possano
  ripartire. il Parroco  |