Vide e credette

Dopo che il corpo di Gesù era stato messo nel sepolcro e una grossa pietra era stata rotolata all’imboccatura, le autorità avevano ulteriormente messo sigilli su quella pietra e anche messo persone di guardia a garantire la perennità di quella sepoltura. Ma contemporaneamente una pietra ancora più pesante era stata messa su tutte le speranze suscitate dalle parole e dalla vita di Gesù. Spenta la speranza che la ricerca del bene e del vero, valessero più che la forza e la prepotenza, spenta la speranza che potessero essere riconosciuti la dignità e i diritti dei poveri, spenta la possibilità di perdono, spenta l’immagine misericordiosa e paterna di Dio. Il vangelo aveva espresso tutto questo con l’immagine delle tenebre fitte che anche in pieno giorno avevano avvolto la terra.

Ma improvvisamente quella cappa di buio che avvolgeva ogni cosa viene squarciata da una luce che s’accende nei cuori delle persone, la luce della fede nella risurrezione di Gesù. Il vangelo ci dice che anche gli apostoli hanno avuto bisogno della luce della fede per accogliere la consapevolezza che Gesù, dopo la sua morte era tornato a vivere. Se Gesù, dopo la morte fosse tornato a vivere la stessa vita che viveva prima di morire, sarebbe stato sufficiente constatare la sua risurrezione, non c’era bisogno di crederla. È la fede che fa accogliere la verità della risurrezione, perché affermando che Gesù è risorto, non proclamiamo tanto il fatto che è tornato a rivivere la stessa vita che viveva prima di morire, ma che Gesù è entrato nel modo di vivere di Dio, un modo di vivere non accessibile all’esperienza dei sensi.

La fede cambia totalmente la valutazione del percorso di Gesù: se al primo impatto si poteva pensare che la fiducia che egli aveva riposto nel Padre era stata messa in mani non affidabili, la fede nella risurrezione afferma che il padre è Padre davvero, che è affidabile e che ama di un amore sicuro che non viene mai meno. Dopo la morte di Gesù si poteva pensare di dover dare ragione alla gente che gridava “salva te stesso”, perché se non ti salvi tu, non ti salva nessuno, la risurrezione invece testimonia che la salvezza c’è e non ci si salva, ma “si è salvati”. La salvezza è dono che si accoglie e viene da un amore sovrabbondante e sorprendente. Se dopo la morte di Gesù si poteva pensare che non valeva la pena di vivere per gli altri, ma occorreva pensare a se stessi, la risurrezione cambia totalmente il giudizio: amare, amare anche fino al punto più alto, fino al dono di sé, è ciò che fa toccare il significato più alto del vivere, è vivere allo stesso modo di Dio.

A supporto della fede vengono dati dei segni che sono appunto “segni della fede”. Essi non si impongono in modo da costringere a credere, sono un aiuto, lasciando però la libertà di credere.

Ma ciò che convince è soprattutto la vita cambiata che nasce da quella fede, ciò che convince è l’amore che in forza di quella fede si riesce a vivere. Credere che Gesù dopo la morte è entrato nella vita di piena comunione con Dio, fa anche pensare che essendo vivo in Dio, rimane vivo anche per coloro che credono in Lui, e può avvenire che accogliendo il Suo amore, si realizzi quello che avviene sempre nelle grandi relazioni d’amore: la vita di uno diventa la vita dell’altro.

Credere che Gesù sia risorto ci fa pensare che è vero il Suo amore, e quell’amore è anche per noi. E a quell’amore possiamo essere assimilati in modo che Lui stesso riviva in ciascuno di noi. Ecco perché Papa Francesco ci sta proponendo in questi giorni di accogliere nella Pasqua un invito ad uscire da noi stessi, uscire dalle chiese verso le periferie, uscire con la forza dell’amore a incontrare i poveri, i più deboli, gli affamati, gli assetati di pace, giustizia, carità.

il Parroco