Io e il Padre siamo una cosa sola Nella quarta domenica del tempo di Pasqua leggiamo ogni anno un tratto del capitolo dieci del vangelo di Giovanni, nel quale Gesù parla di sè e della sua missione utilizzando l’immagine del pastore. Possiamo pensare che questa immagine sia stata suggerita a Gesù, non tanto dal fatto che (essendo prevalenti nella società del suo tempo le attività agricole e pastorizie) passando per le campagne era continuamente possibile incontrare dei pastori, ma piuttosto dal fatto che nei libri delle Sacre Scritture, più volte era stata usata questa immagine per parlare di Dio. Sappiamo che la famosa profezia di Ezechiele, nella quale egli annunzia che Dio stesso sarà il pastore di Israele, riportata nel capitolo 34 dei suoi scritti, veniva letta nella festa della Dedicazione e in base al vangelo di Giovanni possiamo pensare che il contesto di quella festa fosse l’occasione per questo insegnamento da parte di Gesù. Con l’immagine del Pastore, anzi del Buon Pastore, Gesù vuole rappresentare la relazione che egli offre agli uomini, una relazione nella quale si rende presente Dio stesso; fondamentali sono infatti le parole del vangelo dove Gesù dice: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. Questa relazione ha la qualità dell’amore, infatti il pastore è totalmente proteso alla ricerca del bene delle pecore. Dalla relazione col pastore dipende la vita delle pecore: da lui deriva la possibilità che le pecore siano nutrite e siano salvaguardate dai pericoli. Della relazione che il pastore ha nei confronti delle sue pecore come è descritta dal vangelo, mi sembra importante sottolineare come essa comporti anche la conoscenza. Nel Vangelo di questa domenica si accenna appena a questo aspetto, si dice infatti: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco”, ma se leggiamo l’intero capitolo ci accorgiamo come il tema della conoscenza tra il pastore e le pecore e viceversa sia molto rilevante. Ritengo importante sottolineare l’aspetto della conoscenza, perché questo significa che la relazione è personale. Una relazione che avvenga attraverso la conoscenza, vuol dire che si rivolge alla persona, non semplicemente in quanto parte di un gruppo, ma la raggiunge nella sua singolare individualità. Se Dio ama me con una relazione personale, significa che mi vede non soltanto in quanto parte dell’umanità o in quanto parte della chiesa, ma mi conosce e mi ama nella mia singolare individualità, con i pregi e i difetti, con le luci e le ombre. È per me riflessione molto feconda pensare che Dio mi conosca, in forza di essa posso accettarmi anche nei miei limiti, pensando che essi siano conosciuti da Dio. Pensare che la relazione di amore che Dio vive nei miei confronti si è manifestata nella relazione che Gesù viveva con le persone che ha incontrato, pensare che è una relazione personale, arricchisce molto l’esperienza spirituale. Ogni persona è unica e diversa dalle altre: diversa per genere maschile o femminile, diversa per età giovane o adulta, diversa per le circostanze della sua vita, ma ancor più diversa per la singolarità del suo carattere. Pensare che Dio ama riconoscendo la singolarità di ciascuno, vuol dire che ciascuno deve dare a Dio una risposta di amore in base alla propria singolarità. Se noi consideriamo i santi, vediamo come essi siano tutti diversi, e tra loro ci sia una personalità forte, quasi militaresca, come sant’Ignazio di Loyola e una personalità tutta “emotività e sentimento” come san Francesco. C’è dunque un cammino cristiano che ognuno deve vivere valorizzando la singolarità della sua persona. Questa ricerca di come vivere il cammino dietro a Gesù valorizzando le doti personali si chiama vocazione. In questa ricerca emergeranno operai, insegnanti, medici o ingegneri cristiani, ma anche sposi o consacrati religiosi o preti che capiranno qual è la strada per seguire Gesù, ma anche qual’è la strada per valorizzare pienamente la propria persona. il Parroco |