Ragazzo, dico a te, àlzati!

Accade qualche volta anche oggi che dobbiamo piangere la morte di un figlio e sappiamo quale dolore grande sia per la famiglia e per i suoi amici. Se succede ai nostri giorni, il più delle volte avviene in seguito ad un incidente, qualche volta anche in conseguenza di una malattia. Possiamo pensare che la morte in giovane età avvenisse molto più frequentemente ai tempi di Gesù, quando l’arretratezza delle conoscenze e la mancanza di qualsiasi assistenza medica rendevano molto più fragile la vita anche dei bambini e dei ragazzi. Quando parliamo con i missionari a proposito della vita dei villaggi nei territori della missione, essi ci dicono come sia frequente la morte di un giovane, a volte a causa di una malattia che nella nostra società è perfettamente curabile con poche medicine. Perdere un figlio è un fatto così innaturale che provoca un dolore straziante e che lascia un vuoto incolmabile, lungo tutta una vita.

Il grande dolore che Gesù incontra alla porta del villaggio di Naim è reso ancora più tragico dal fatto che quel ragazzo portato via dalla morte, era l’unico figlio di una madre che aveva già perso il marito. Può essere una considerazione marginale, ma la morte del ragazzo aggrava di molto la situazione sociale di quella donna, poiché nella società di Gesù era l’uomo con il suo lavoro, la fonte di reddito col quale la famiglia poteva vivere. Ora, la morte del figlio spegneva anche la speranza che una volta cresciuto, potesse essere lui a sostenere quella piccola famiglia. Gesù, trovandosi di fronte a quella situazione di grande dolore non passa indifferente, ma si sente toccato dalla sofferenza e a essa risponde.”.

Il centro del vangelo di questa domenica sono le parole “fu preso da grande compassione”. La compassione è quel moto dell’anima che porta una persona a fare propria l’esperienza di un altro fino a patire con l’altro e Gesù fa proprio così. Ma la compassione di Gesù non è il sentimento di un uomo particolarmente sensibile, è il riflesso verso gli uomini di quell’amore che in quanto figlio Egli riceve costantemente dal Padre. Alla luce dell’amore del Padre che illumina e nutre la vita di Gesù, egli sa che il progetto iniziale è quello di costituire la persona umana partecipe dell’essere divino, fatta a immagine di Dio e destinata alla gioia; per questo Gesù si commuove: per il desiderio che quel progetto iniziale attraverso di lui si realizzi. L’amore di Gesù, manifestazione dell’amore di Dio, dice alla donna “non piangere” e poi avvicinandosi al ragazzo lo prende per mano restituendolo alla vita. Quella gioia che sembrava perduta ritorna sul volto della donna, del ragazzo e di tutte le persone che fanno da contorno.

Con la risurrezione di quel ragazzo, Gesù anticipa quel dono che farà a tutti con la sua risurrezione, quando non cancellerà la morte dall’esperienza della vita, ma toglierà alla morte la sua forza distruttiva rivelando l’amore di Dio, più forte della morte e capace di dare vita oltre la morte. Con la risurrezione del ragazzo Gesù mostra anche il compito affidato a tutti e in particolare ai suoi discepoli, quello cioè di non passare oltre la morte che a volte abita nel cuore degli uomini che non riescono a gioire della vita, che a volte vivono non avendo più speranza nel futuro. La compassione, la capacità di fare propri i dolori degli altri, l’amore che porta a condividere e a esprimere la propria partecipazione, può risollevare chi soffre e restituirlo alla vita.

il Parroco