O Dio, abbi pietà di me Nel vangelo di questa domenica, Gesù offre alla nostra riflessione un’altra piccola e preziosa parabola. Nella vicenda narrata da Gesù, sono messi a confronto due uomini che vanno al tempio a pregare. L’insegnamento della parabola scaturisce proprio dal confronto tra il modo di pregare dei due protagonisti. E siccome il pregare manifesta la fede, si può dire che sono messi a confronto due modi di credere. Ecco che anche in questa domenica ritorna il tema della fede e continua il discorso che abbiamo iniziato nelle domeniche precedenti. “Com’è Dio nel quale crediamo?”, ci chiedevamo domenica scorsa: proprio questa domanda è la chiave di lettura per comprendere il messaggio della parabola di oggi. Com’è Dio secondo il fariseo? La preghiera del fariseo inizia nel modo giusto, poiché si rivolge a Dio con sentimenti di ringraziamento, ma immediatamente si perde, perché in tutto ciò che dice in seguito, egli non parla più dell’opera di Dio, ma di sé. Il fariseo parla a Dio, ma il vero protagonista della preghiera è il suo”io”. L’immagine di Dio che sottostà alla preghiera del fariseo è quella del giudice con la bilancia per pesare le azioni degli uomini: su un piatto quelle buone, sull’altro quelle cattive, meriti e demeriti, opere virtuose o peccati. Dio è dunque pensato come un contabile con in mano il librone dei conti, dove su due colonne segna attivo e passivo, meriti o colpe; il fariseo ricorda a Dio che la pagina della sua vita è tutta nella colonna dell’attivo. Nella relazione con Dio come la vive il fariseo, Dio ha poco da fare, perché fa già tutto lui, infatti è lui il soggetto di tutte le azioni ricordate nella preghiera, Dio è piuttosto uno spettatore che registra ciò che fa il fariseo; l’azione di Dio non può che essere conseguenza di quanto fatto dal fariseo, tirate le somme dovrà approvare e premiare il suo comportamento. Non per amore riceverà la benevolenza di Dio, ma come diritto al premio per i suoi meriti.”. Totalmente diversa è la preghiera del pubblicano, che per la sua storia personale, per la sua vita sbagliata non ha meriti da presentare a Dio, non ha azioni di cui vantarsi, può solo confidare che Dio rivolga su di lui uno sguardo di assoluto amore, capace di non fermarsi sulla sua vita sbagliata, di andare al di là dei suoi peccati e accoglierlo con misericordia. Al centro della preghiera del pubblicano non c’è l’”io”, che anzi cerca di nascondere, ma c’è Dio, è solo Lui che in forza del suo amore può ammettere il pubblicano alla Sua presenza. Per il pubblicano, “Dio è Amore”, a questo Dio il pubblicano si abbandona. Gesù conclude infine dicendo che “solo il pubblicano ha incontrato Dio”. Con questa parabola ancora una volta Gesù capovolge la logica della relazione tra Dio e uomo. Non è l’uomo che con il suo sforzo si eleva a Dio, ma Dio gratuitamente e per amore si dona all’uomo. Non ci sono meriti da raggiungere, o prezzi da pagare per avere l’amore di Dio, perché è dato gratis. Normalmente non ci aspettiamo di essere amati gratis, vogliamo essere premiati perché lo meritiamo. Eppure, sapere che siamo amati con un amore così grande, dovrebbe farci felici, pur se lo stesso amore è dato anche ad altri. Non tiene neanche il discorso che “se poi tutti siamo amati allo stesso modo non vale la pena di impegnarsi tanto a fare il bene”. Spero che nessuno faccia il bene per evitare un castigo o per ottenere un premio, ma perchè fare il bene, porta luce e armonia nella vita. Ecco la giusta relazione con Dio secondo Gesù: tu che sei nella chiesa fin dall’infanzia, o colui che se ne era allontanato e magari solo all’ultimo ritorna, tutti noi siamo di fronte ad un amore infinito che non meritiamo. Santa Teresa, che pure poteva riconoscere di non aver mai fatto peccati mortali, così diceva “Dio ha perdonato a me prima che li facessi, quei peccati che ad altri perdona dopo che li hanno fatti”.. il Parroco |