Disse: «Zaccheo!»

Dopo che per varie domeniche, con il linguaggio delle parabole, Gesù ha parlato di Dio e del nostro rapporto con Lui, oggi ce lo fa conoscere attraverso il suo stesso comportamento. Gerico, città posta nella valle del Giordano, è tappa obbligata per chi va a Gerusalemme, da lì si possono controllare tutte le carovane che salgono alla città santa, è dunque logico un presidio per ispezionare tutti i traffici e far pagare i vari dazi sulle merci trasportate. Zaccheo è il capo dei pubblicani, coloro che per conto dei Romani riscuotono le imposte. La sua professione, il contatto frequente con i pagani, la bramosia del denaro, lo rendono persona invisa a tutti, che lo associano ai peccatori. Ma proprio Zaccheo, il boss locale, il peggiore della città, è cercato e incontrato da Gesù. Possiamo mettere in rilievo alcuni aspetti di questo incontro.

L’iniziativa è di Gesù, non è qualcuno che sollecita l’attenzione del maestro verso l’albero dove tra i rami è nascosto Zaccheo, non è il pubblicano che attira la sua attenzione, è Gesù che per sua iniziativa, in forza di una spinta interiore di amore, alza gli occhi e per primo rivolge a quell’uomo la parola.”.

Gesù si rivolge a quell’uomo arrampicato sull’albero chiamandolo per nome: “Zaccheo”. Possiamo immaginare quale tuffo al cuore abbia provato al sentirsi chiamare per nome, dal commento della gente possiamo pensare che nessuno usasse quel nome per rivolgersi a lui, ma piuttosto, fossero altri gli epiteti con cui veniva identificato: il vangelo ci fa pensare che ormai fosse chiamato da tutti come “il peccatore”. Il nome identifica la persona: chiamando Zaccheo per nome, Gesù gli riconosce la dignità di persona e benché segnato da una vita sbagliata, Gesù non vede in lui solo i suoi errori, non lo inchioda nei suoi peccati. Chiamando Zaccheo, Gesù riconosce che permane in lui quella scintilla di vita creata da Dio, che può far rinascere a un nuovo percorso di vita. Il nome personale è usato in relazioni nelle quali c’è una conoscenza, come le relazioni familiari o quelle di amicizia. Chiamandolo per nome, Gesù dimostra di conoscere Zaccheo, di sapere chi è e quale sia la sua vita. Gesù conosce Zaccheo, e pur conoscendolo, lo cerca e lo vuole incontrare.

Gesù si offre come ospite, chiede di andare a casa sua, desidera essere suo commensale. Entrare in casa, condividere il pasto, esprime il desiderio di una amicizia, di una comunione di vita.

Nell’amore di Gesù verso Zaccheo si manifesta l’amore stesso di Dio. il nostro amore solitamente si muove verso gli altri perchè vediamo in loro delle qualità che attirano la nostra stima e la nostra amicizia. Noi amiamo solitamente chi è già buono. In questo si mostra come diverso e come veramente speciale l’amore di Gesù, che ama Zaccheo non perché è già buono, ma perché lo vuole arricchire di bene, lo vuole rendere buono. Come all’inizio Dio ha creato dal nulla la vita, così continua ad amare per dare vita, per creare bene proprio dove il bene non c’è. Se noi amiamo perché uno è buono, Dio ama per rendere buono..

All’amore di Gesù, Zaccheo si arrende, egli si sente portato al di là di tutta la sua storia sbagliata, e viene restituito ad una nuova coscienza di se stesso e del valore della sua persona. In forza di questa coscienza della sua dignità, per l’amore che ha sperimentato è mosso ad iniziare un nuovo percorso di vita. Perché amato diventa capace di amare..

Zaccheo siamo noi, che facciamo esperienza del peccato, che riconosciamo di fare scelte sbagliate, che siamo capaci di ferire e di generare dolore attorno a noi. Crediamo che l’amore di Gesù è per noi: da questo amore siamo abbracciati con il perdono e siamo condotti a ricominciare una nuova vita. Anche noi incontriamo persone che sbagliano, persone che hanno fatto e ci hanno fatto del male: seguendo l’esempio di Gesù, non fissiamo le persone nel loro peccato, ma avvolgiamole di bene, perché possano trovare la forza per una risurrezione..

il Parroco