Nella casa del Padre mio - Gv 14,1-12 Accogliamo dal vangelo di questa domenica un’altra immagine che Gesù utilizza per parlarci della vita: l’immagine della casa. Penso che questa parola richiami immediatamente la casa della nostra infanzia, quella che ci collega alla nostra origine, la casa dove siamo stati figli. Penso che tutti, anche se abbiamo più volte dovuto cambiare abitazione, conserviamo una foto o un oggetto che ci ricorda quella casa, che ci aiuta a trovare traccia della storia di coloro che sono vissuti prima di noi, dai quali abbiamo ereditato il nome, e con esso il nostro bagaglio genetico e l’insieme di quei tratti somatici che ora costituiscono la nostra persona. La casa è il luogo delle relazioni più preziose, dove siamo riconosciuti per il nostro nome; in famiglia sarebbe impensabile chiamarci solo per cognome, non si raggiungerebbe la nostra individualità; il nome ci diversifica ulteriormente dai nostri fratelli ed esprime la nostra singolarità. La casa è il luogo dell’intimità, dove noi possiamo stare finalmente spogli degli abiti delle apparenze che nella società siamo costretti ad indossare, abiti a cui spesso affidiamo il compito di darci identità. Ci sono ambiti in cui ognuno è considerato per la divisa che indossa, per il ruolo che esercita, per il tenore della sua economia, per la sigla apposta sul biglietto da visita: Don. Mons. Ing. Arch. Dott. ecc. La casa è il luogo dove siamo noi stessi, in essa possiamo manifestare senza vergogna la parte più intima di noi, la parte delle nostre emozioni. La casa è il luogo dove possiamo stare anche a contatto con la parte oscura di noi, la parte del nostro limite e del nostro errore. La casa è il luogo della cura, dove troviamo un cibo prezioso che magari non ha il sapore della competenza dello chef, ma ha il sapore dell’amore di chi lo ha preparato. In casa si conserva quell’unguento raro, quella tisana preziosa che sanno lenire le nostre ferite. La casa è quel luogo sicuro, dove sappiamo che potremo sempre ritornare con la certezza di essere riconosciuti e accolti. Proprio perché c’è una casa a cui potremo ritornare, possiamo avere l’audacia di partire per l’avventura della nostra libertà. Se la vita ci costringe a partire per vivere la nostra avventura sulle strade del mondo, il ricordo della casa genera una struggente nostalgia e il bisogno di tornare a quei luoghi consueti e familiari. Capiamo perciò il dramma di tante persone che bussano alla porta della parrocchia o del centro di ascolto dicendo di non avere una casa, e la paura di altre persone che chiedono un aiuto per l’affitto perché sono a rischio di perderla. Il tipo di società che abbiamo costruito, basato sulla logica del mercato, ha fatto della casa un bene costoso, non a tutti accessibile, e i nostri amministratori non hanno saputo provvedere ad una casa per i poveri. Ma ancor più capiamo il dramma di quelle persone che non possono godere di relazioni familiari che sono significate dalla casa, che non hanno nessuno che le chiami per nome o che attenda il loro rientro. Capita a tutti, pur avendo una casa e relazioni familiari, di provare estraneità rispetto a chi ci è vicino, a volte persino solitudine. Potremmo dire che tutti abbiamo nostalgia per quell’esperienza provata a volte nella nostra casa, desiderando che la stessa esperienza si compia per tutti e si compia per sempre. Ecco la promessa del vangelo: quella casa esiste ed è la casa dove Gesù è figlio, in quella casa che ci ha fatto vedere con la sua vita, è la casa dove c’è un posto per tutti, alla quale si arriva cercando di vivere come ha vissuto Gesù. il Parroco |