Io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi - Gv 14,15-21 In questa domenica, che va verso la conclusione del tempo pasquale, siamo invitati a chiederci: “come può la vita che Gesù ha raggiunto con la sua resurrezione, essere messa a nostra disposizione, perché diventi la nostra vita?” Nella nostra fede affermiamo che dalla morte e resurrezione di Gesù viene a noi la salvezza. Ci chiediamo perciò come sia possibile che la resurrezione non riguardi solo la Sua persona e la Sua vita esemplare, ma riguardi anche noi. Non ci aiuta a questo proposito dire che Gesù ci ha dato un esempio e tocca a noi cercare di imitare il suo comportamento. Io stesso ho detto in una omelia che dobbiamo assumere come nostro modo di vivere, i criteri con cui Gesù ha affrontato la sua morte. Ma subito nasce immediata l’obiezione: “Come possiamo noi pretendere, con le nostre forze, di vivere al modo che ha vissuto Gesù?” Trovo la risposta a questo dilemma, nella parola del vangelo di oggi, dove Gesù descrive quale sarà il suo rapporto con i discepoli. Gesù dice: Io sono in voi. Badiamo bene, non semplicemente davanti a voi come uno che traccia la strada, non semplicemente accanto a voi, come uno che vi incoraggia, ma: “sarò in voi e da dentro di voi, cioè dal vostro interno, vi comunicherò la mia vita”. Chiamiamo questo rapporto di Gesù con i discepoli con la parola: Comunione. La relazione di amore crea comunione, in una amicizia vera, nell’amore di uno sposo per la sua sposa, avviene uno scambio per cui chi ama vive nell’amato. Questa è la vita cristiana: accogliere nella fede l’amore di Gesù che ci chiama amici e permettere che Gesù diventi una presenza interiore in ciascuno di noi fino a farci vivere come Lui. Nel vangelo di questa domenica c’è poi un’altra parola, che ci spiega come la Sua vita potrà diventare la nostra vita, parola con la quale Gesù annuncia il nuovo dono che da risorto potrà fare agli uomini, il dono di una nuova presenza di Dio. Gesù chiama questa nuova presenza “un altro Paràclito”, con questo nome veniva chiamato colui che in tribunale si schierava dalla parte dell’accusato: Dio si dona come il nostro avvocato difensore, colui che si dichiara a nostro favore. Questa presenza nuova di Dio è lo Spirito Santo. “Spirito” traduce la parola greca “to pneuma” che corrisponde alla parola ebraica “ruah”; sia in ebraico che in greco la parola si può tradurre con “vento” o con “respiro”. Attraverso il respiro l’aria ricca di ossigeno entra nel corpo umano e attraverso i polmoni cede l’ossigeno al sangue e l’ossigeno è il carburante che fa vivere le cellule. Il respiro dunque permette a qualcosa che è fuori dal corpo di entrare dentro e di unirsi ad esso per farlo vivere. Il respiro è un’immagine che ci aiuta a capire il dono dello Spirito: esso comunica la presenza di Dio quale presenza interiore che agendo dal di dentro rafforza le facoltà umane perché possano esprimere la stessa vita di Dio. Proprio con il dono dello Spirito Santo si compie il disegno di Dio sull’uomo, quel disegno annunciato nelle parole del creatore che aveva detto: “Facciamo l’uomo a nostra immagine." Lo Spirito Santo, partecipando all’uomo la vita di Gesù risorto, rende veramente la persona immagine e tabernacolo di Dio. Lo Spirito Santo è dunque il protagonista della vita del credente, possiamo dire infatti che la sua vita, è “vita nello Spirito”. Dobbiamo però ancora dire, come il Papa ha detto il 13 maggio alla messa in Santa Marta: ''Lo Spirito Santo è sempre un po' lo sconosciuto della nostra fede''. Poniamo in questo tempo maggiore attenzione alla presenza dello Spirito Santo, invochiamolo nella preghiera, ascoltiamo la sua voce nell’intimità del nostro raccoglimento. il Parroco |