Dio ha tanto amato il mondo - Gv 3,16-18 Con la festa di Pentecoste che abbiamo celebrato domenica scorsa, si è chiuso il lungo percorso tracciato dal tempo della Quaresima, poi dalla Settimana Santa e dal tempo di Pasqua. Prima di riprendere il tempo ordinario, viviamo oggi una giornata che fa da passaggio tra i due periodi liturgici. In questa domenica siamo invitati a fare una sintesi per raccogliere in un’idea, in un’immagine, ciò che abbiamo conosciuto attraverso l’insegnamento e la testimonianza di Gesù. La festa di oggi, invitandoci a contemplare il volto di Dio con il nome di Trinità, ci conduce ad affermare che attraverso Gesù, attraverso la sua parola e la sua vita, ci è stata offerta una strada per conoscere e incontrare la presenza di Dio. Poiché chiamiamo fede l’atto con cui una persona riconosce vera la presenza di Dio, e dalla relazione con Lui fa dipendere la vita, possiamo dire che Gesù ci ha tracciato il cammino della fede. Pensando all’esperienza del cammino possiamo chiederci qual è il punto di partenza, oppure, che cosa può mettere in cammino una persona perché sulle orme di Gesù si metta alla ricerca del volto di Dio. Immaginando di dover rispondere alle domande di un interlocutore, cosa potremmo dire su: “Perché crediamo?” O “Come crediamo?”. Il cammino di fede parte dalle domande che la vita continuamente ci pone e che potremmo formulare così: “Di fronte alla contraddittorietà delle esperienze, in forza di che cosa posso essere consapevole che nella mia singolare esistenza si realizza una vita che ha senso?” - “Da quale esperienza o da quale circostanza posso far dipendere la gioia?”. Oppure, utilizzando un linguaggio più brutale, potremmo chiederci: “Come posso continuare a vivere pur sapendo che un giorno morirò?”. Sono diverse le risposte che gli uomini danno a queste domande: c’è chi stoicamente si rassegna pensando che questo è l’andamento del ciclo della natura; c’è chi identifica nella realizzazione di un momentaneo successo terreno il valore che già giustifica il senso della vita. Penso che con una riflessione più attenta, possiamo invece identificare nella esperienza dell’amore ricevuto e donato ciò che rende possibile dire che la vita ha valore. Possiamo affermare questo in base alla conoscenza di tutti gli studiosi della psicologia, che individuano nella relazione genitori e figli il punto fondamentale per la costruzione armoniosa della propria identità. Infatti, tutti coloro che intervengono al momento del parto, cercano di ristabilire immediatamente la relazione del bambino con la mamma, perché egli abbia subito coscienza di esistere in relazione con colei che lo portava in grembo. Possiamo confermare tutti questa tesi con la nostra stessa esperienza, sia pensando al tempo dell’adolescenza, a quanto allora erano importanti gli amici, sia pensando a quanti vivono la vita coniugale, a quanto è importante avere accanto qualcuno con cui condividere la vita. Se conosciamo qualche persona che vive una situazione di difficoltà, se facciamo attenzione, ci accorgiamo che la vera domanda non è solo la soluzione della difficoltà, ma la condivisione, cioè il sapere di non essere lasciati soli di fronte al problema. Potremmo allora chiederci: “Perché l’esperienza dell’amore è così importante nella vita di ogni persona?” Oppure: “Esisterà mai un amore che si realizzi in pienezza, visto che l’esperienza ci fa vivere solo frammenti di amore?”. Chiamandolo con il nome di Trinità, noi affermiamo che Dio è pienezza di amore. Abbiamo conosciuto il Suo amore per noi, nel dono che ci ha fatto del suo figlio Gesù. Riconoscendo che veniamo dall’amore, comprendiamo che siamo fatti per amare. Manifestiamo la vita trinitaria da cui veniamo e nella quale esistiamo, se saremo capaci di uscire da noi stessi per aprirci all’accoglienza di chi ha bisogno. Sarà questo il cammino di trasfigurazione, che ci porterà a vedere il volto luminoso di Dio. il Parroco |