Da ultimo mandò loro il proprio figlio - Mt 21,33-43

Anche in questa domenica, Gesù ci trasmette un insegnamento raccontando la vicenda di una vigna e del suo proprietario. Attraverso il confronto tra la prima lettura e il vangelo possiamo riconoscere in modo esplicito ciò che abbiamo detto nelle settimane passate: Gesù utilizza l’immagine della vigna perché già nei passi dell’Antico Testamento i profeti avevano adoperato tale immagine per rappresentare la storia di Amore di Dio verso il popolo di Israele. La storia dell’amore di Dio verso tutti gli uomini, iniziata con l’elezione del popolo di Israele, arriva alla sua massima espressione con la missione di Gesù, il quale chiama anche questo racconto con il nome di parabola, ma dobbiamo riconoscere che ci troviamo di fronte ad una parabola diversa rispetto a tutte le altre.

Solitamente le parabole prendono spunto da ciò che accade nella vita reale o comunque da una vicenda che appare plausibile: è verosimile che un viandante che va verso Gerico, trovi sulla strada un uomo lasciato mezzo morto dai briganti, è plausibile che il padrone di un vigneto nel tempo della vendemmia vada a cercare operai alle diverse ore del giorno. Non è plausibile che dei vignaioli uccidano il figlio del proprietario e pensino di poter, in tal modo, avere diritto ad appropriarsi della sua eredità. Inoltre le parabole vogliono esprimere un insegnamento che può essere attualizzato in ogni tempo, solitamente nelle parabole troviamo un messaggio che vale anche per noi.

In questa parabola il passaggio dal racconto alla vita di oggi sembra molto più difficile, infatti, più che parabola, dovremmo definire il racconto di Gesù una “allegoria”, attraverso la quale il maestro vuole rappresentare il conflitto tra Lui e le autorità ebraiche: sacerdoti, scribi, e farisei, conflitto che si sta accentuando e sta per arrivare alle estreme conseguenze e alla sua drammatica conclusione. Il racconto serve a rappresentare i fatti riguardanti la morte di Gesù e a smascherare le intenzioni che i suoi interlocutori stanno già covando nei loro pensieri. Attraverso la parabola noi possiamo entrare nella coscienza di Gesù. Chiaramente Egli si identifica con il figlio mandato dal Padre come estremo tentativo per recuperare i vignaioli ad una responsabilità, figlio che viene a sua volta rifiutato ed ucciso.

Gesù aveva coscienza di vivere una speciale relazione con Dio; che era per lui il Padre, da Lui sapeva di essere amato, si riconosceva Figlio di fronte a Dio, Figlio in modo unico, diverso da come sono figli tutti gli altri. Gesù, attraverso il racconto, mostra di essere ben consapevole di come si compirà la sua vita, già altre volte lo aveva preannunziato agli apostoli, anche con questo racconto dimostra che la morte non è un destino che gli capita addosso improvvisamente, ma un traguardo verso il quale va con piena consapevolezza e totale libertà. Ciò che è più importante di tutto il racconto è la parte finale, dove si prevede che la morte del figlio non debba costituire la fine della storia di amore tra il padrone e la sua vigna, ma ne costituisca invece un nuovo inizio, perché la vigna sarà data ad altri vignaioli che sapranno finalmente generare i frutti sperati.

La morte del figlio che nelle intenzioni dei vignaioli doveva segnare la sconfitta del disegno del Padre, si rivelerà invece essere la sua realizzazione, perché proprio allora il Figlio potrà vivere l’amore fino alla misura infinita. Dal confronto tra la morte e l’amore, la vittoria sarà dell’Amore. Per l’amore di Gesù crocifisso, rivelatosi più forte della morte e via di risurrezione, potrà nascere una comunità capace di continuare a contrapporre alla morte, l’Amore.

il Parroco