Qual è il grande comandamento? - Mt 22,34-40

Il testo del Vangelo, afferma che anche la domanda, posta a Gesù da parte di un dottore della legge, mirava a metterlo alla prova, allo stesso modo della questione esposta nel vangelo di domenica scorsa. Noi non riusciamo a comprendere nei dettagli il trabocchetto che sottostava a quella domanda, possiamo presumere che fosse un tentativo di coinvolgere Gesù nella disputa tra le varie scuole rabbiniche, così da accontentarne alcune e scontentarne altre. Gesù sembra prendere seriamente la questione, e vi risponde come fosse una domanda vera. Anche noi seguiamo Gesù e riflettiamo sul tema proposto riconoscendo che si tratta di un interrogativo importante. Mentre tutte le cose, anche le piante e gli animali, vivono secondo meccanismi che sono iscritti nella loro natura, per cui posti in una determinata situazione essi si comporteranno sempre nello stesso modo, la persona umana è capace di libertà: posto in una determinata circostanza, ognuno agirà secondo il giudizio dato dalla propria coscienza. La decisione della coscienza non è unicamente lasciata all’arbitrarietà, la chiamiamo “retta”, quando sa scegliere il comportamento che corrisponde al giudizio del bene. Esercitare la libertà vuol dire aderire alla voce interiore nella quale risuona la forza attrattiva del bene. Possiamo dire che i comandamenti non sono una legge esteriore di qualcuno che, investito di autorità, determina che cosa dobbiamo fare o non fare. I comandamenti risuonano dentro di noi e sono l’eco della voce di Dio che ci ha creato, costituendoci come “cosa molto buona” poiché partecipi del Suo stesso essere. Il compito di ogni persona è perciò quello di manifestare nei comportamenti il bene che la abita. Nella complessità delle situazioni non è sempre facile riconoscere la strada nella quale camminare per attuare il bene; il popolo ebraico nell’Antico Testamento e i discepoli di Gesù hanno ascoltato la volontà di Dio contenuta nella sua Parola e l’hanno trasmessa nella forma dei comandamenti.

Nella sua risposta Gesù non dice in realtà cose nuove, perché le sue parole riportano la citazione di due passi dell’Antico Testamento: la prima parte è un testo molto importante, si tratta dello “Shema Israel” (vuol dire “ascolta Israele”), cioè la professione di fede che, secondo il Deuteronomio, gli ebrei dovevano recitare tutti i giorni nelle loro preghiere. La seconda parte è una citazione dal libro del Levitico. Anche se non sono parole nuove, Gesù realizza un’operazione assolutamente innovativa, perché raccoglie queste due parole tra le tante norme della Sacra Scrittura, e le eleva sopra le altre, per cui diventano non comandamenti fra i tanti, ma i comandamenti che riassumono e contengono tutti gli altri. La seconda operazione che Gesù compie è: questi due precetti sono contenuti in libri diversi, Gesù li avvicina fino a renderli un unico comandamento, quasi che non sia possibile vivere il primo senza attuare anche il secondo.

Il testo dello Shema è un invito ad ascoltare: ascoltare la vita che abita in tutte le cose e la vita che scorre in ogni persona. Dal guardare con meraviglia il fluire della vita si deve riconoscere che non dal caso viene l’essere, ma da Dio. Il primo comandamento chiede di riconoscere la relazione da cui la vita prende origine. Il primo modo di amare è quello di accorgersi dell’amore dell’altro, di ringraziare dell’amore e lasciarsi amare. Amare Dio non vuol dire pensare di accrescere il bene di Dio con le nostre preghiere o le nostre opere. Amare Dio significa dare valore all’amore di Dio per ciascuno, vivendo alla luce di quest’amore e facendolo diventare ciò da cui dipende la gioia della vita.

Per questo il primo comandamento si lega al secondo, perché chi riconosce l’amore di Dio come il fondamento del suo essere e cerca di vivere nella sua luce, vede che partecipano dell’amore tutti gli altri esseri umani. Accogliere l’amore di Dio chiede pertanto di riconoscere che questo amore è per tutti, e di operare perché ciò si renda visibile attraverso il nostro agire.

il Parroco