Di essi è il Regno dei cieli - Mt 5,1-12a Se cerchiamo di definire in che cosa consiste la santità, alla luce della vita dei santi che ricordiamo nel calendario e che la chiesa continuamente ci mette davanti come figure esemplari di vita cristiana, possiamo pensare che essa consista nell’eccezionalità della vita. I santi che ricordiamo nel calendario, riconosciuti dalla chiesa come tali e iscritti in un elenco, sono morti martiri per la fede, hanno coperto cariche di grande responsabilità nella chiesa, hanno fondato famiglie e ordini religiosi, hanno vissuto percorsi di penitenza e di grande sacrificio, hanno avuto grazie speciali di estasi e di rivelazioni soprannaturali. Pensando alla vita di queste figure eccezionali, deduciamo che la santità non ci riguarda, perché noi ci sentiamo piccoli rispetto a loro, e distanti dalla loro vita straordinaria. I santi del calendario sono tutte figure eccezionali, ma sono così diversi tra loro e così diverse sono le loro vite, per cui non riusciamo neanche a racchiudere in una sola qualità l’essenza della santità. Non si può dire: “il santo è uno che prega sempre”; neanche si può dire: “santo è uno che fa tanta penitenza”; essere santo non significa fare una determinata cosa. A complicare la nostra ricerca interviene anche la festa di Tutti i Santi: con essa la Chiesa ci dice che i santi sono ben più di coloro che sono stati proclamati tali; nella liturgia della festa abbiamo infatti una lettura che parla di “una moltitudine immensa che non si poteva contare”. Se i santi sono una moltitudine immensa, possiamo pensare che tra di essi ci siano persone che hanno vissuto una vita normale, simile alla nostra, e tra essi ci siano persone che noi stessi abbiamo conosciuto, anche i nostri stessi cari defunti. Nella Sacra Scrittura il termine “santo” è un attributo di Dio; si dice che gli angeli adorino Dio acclamando: “Santo, Santo, Santo”. Con questo termine si vuole dire che Dio è diverso da tutte le cose che sono soggette alla caducità perché in Dio c’è la pienezza dell’essere. Se la santità è una qualità di Dio, in che modo la si può attribuire anche a una creatura com’è appunto l’uomo? Ci troviamo qui a toccare uno dei punti più alti della visione cristiana. L’uomo è una creatura diversa da tutti gli altri esseri esistenti al mondo, perché egli è stato fatto da Dio a Sua immagine e custodisce dentro di sé un principio spirituale che lo rende partecipe della stessa vita divina. Secondo questo pensiero, la santità non è una conquista dell’uomo, che elevandosi sopra la propria natura raggiunge il modo di essere di Dio, la santità è un dono, è Dio che fa dell’uomo un santo, ponendogli nell’interiorità la Sua presenza. In questa visione non si dovrebbe dire come il giovane Domenico Savio: “Voglio farmi santo”. La santità è in ognuno di noi, essa si riferisce alla dignità dell’essere personale e spirituale in cui siamo costituiti all’inizio da Dio, ma possiamo correre il rischio di non riconoscere questa dignità e di soffocare la vita divina che ci abita. Le Beatitudini, proclamate da Gesù come introduzione al Discorso della montagna, sono il “programma della santità”. Solitamente leggiamo ogni enunciato partendo dalla prima parte, dove si esprime la condizione che l’uomo deve raggiungere per poter beneficiare della ricompensa, espressa nella seconda parte. Noi leggiamo: “Se ti sforzi di essere povero nello spirito, sarai beato e Dio ti darà il suo Regno”. Se facessimo una lettura rovesciata, partendo dalla seconda parte di ogni beatitudine (in essa si esprime l’azione che Dio compie nell’uomo che si apre alla fede, e nella prima parte si descrive il frutto dell’azione di Dio) potremmo leggere la prima beatitudine così:”Dio vuole renderti partecipe del suo amore e darti l suo regno, se accogli l’opera di Dio troverai che tutto il resto vale di meno e pertanto sarai povero nel cuore e nel tuo cuore fiorirà la gioia”. In questa prospettiva diventa possibile vivere quello che dice il Concilio, cioè che tutti siamo chiamati alla santità. Non è una via più facile, ma è importante sapere che non è un traguardo da raggiungere, ma un’opera di Dio da accogliere. il Parroco |