….. ne ho guadagnati altri cinque ! - Mt 25,14-30

In queste domeniche, ormai quelle che portano alla conclusione dell’anno liturgico, leggiamo l’ultima parte del vangelo di Matteo e negli ultimi capitoli, che precedono il racconto della passione, l’evangelista raccoglie l’insegnamento di Gesù sul “significato del tempo”. La parabola che ascoltiamo in questa domenica, ci trasmette un insegnamento nel senso che il racconto istituisce un intervallo tra il momento nel quale il padrone consegna ai suoi servi il proprio capitale, e il momento nel quale ritorna per chiedere conto di come sia stato impiegato, e quali siano stati i suoi frutti.

Un filo lega la consegna del capitale al momento del rendiconto, come una strada unisce il punto di partenza e la meta prefissata. La fiducia che il padrone ha mostrato affidando i suoi beni, dà un senso di responsabilità, genera un compito, quello di non perdere quel bene prezioso, utilizzandolo secondo le attese del padrone. Il sapere che un giorno tornerà e chiederà conto, fa si che tutto quello spazio intermedio sia vissuto in previsione del suo ritorno; l’attesa di quel momento decisivo, fa sì che il tempo sia impiegato per mettere a frutto il capitale ricevuto. In questo modo Gesù ha voluto rappresentare il tempo della vita come un cammino che ci deve condurre all’incontro ultimo con Dio, un appuntamento al quale dobbiamo arrivare ricchi di frutti.

Importante, per la comprensione della parabola, è non lasciarci fuorviare dalla parola “talenti”. Nel nostro linguaggio abituale chiamiamo talenti le attitudini o le inclinazioni che una persona ha verso un particolare sapere, o le doti per un ramo dell’arte, oppure le capacità che inclinano a una particolare professione. Potremmo essere indotti a dare questa interpretazione, da quello che dice la parabola, cioè che il padrone dà a un servo cinque talenti, a un altro due o solo uno, secondo le rispettive capacità. Certamente nel rispondere alla chiamata di Dio, ognuno deve utilizzare le proprie doti umane, e questo si evidenzia particolarmente nelle vite dei santi, che proprio per la diversità delle loro attitudini hanno percorso vie diverse uno dall’altro. Non possiamo però dire che chi riesce a primeggiare nei campi dell’arte o delle diverse attività umane, mettendo in luce i propri “talenti”, sia anche una persona che risponda alla chiamata che Dio gli ha fatto quando gli ha dato la vita. In fondo anche chi compie il male, a volte, lo fa mettendo in luce straordinari “talenti”.

Per gli ascoltatori della parabola, il talento era una moneta d’oro di grande valore commerciale, essi perciò capivano dal racconto, che il padrone affida ai servi il proprio capitale. L’evangelista Luca dice nell’analoga parabola, che il padrone ha dato una moneta a ciascuno dei suoi dieci servi. A che cosa può corrispondere il capitale che Dio ha affidato agli uomini attraverso Gesù? Il punto di partenza è uguale per tutti, perché dobbiamo mettere al posto del termine “talento”, il dono della vita e il dono della fede in Dio che ci ama: questo è il capitale che Gesù è venuto a consegnarci. Questo talento fruttifica se la fede diventa sempre più convinta, se questa fede riesce a illuminare sempre di più le situazioni della vita, se alla luce della fede cerchiamo di vivere tutti i momenti della giornata. La fede cresce se riesce a determinare i comportamenti, ad esempio la gestione dei soldi, le relazioni col prossimo. Quel capitale che Gesù ha consegnato si moltiplica se, convinti dell’amore di Dio, sentiamo la responsabilità che lo stesso amore arrivi attraverso di noi a chi ci sta accanto. Possiamo fare, al termine di quest’anno, il nostro bilancio sul capitale che Dio ci ha affidato e valutare se siamo in attivo o in passivo; non per scoraggiarci, ma per rinnovare, col nuovo anno che inizia, il nostro impegno ad amministrare bene i doni di Dio.

il Parroco