Tu sei il Figlio mio, l’amato - Mc 1,7-11

Questa domenica è, contemporaneamente, l’ultima del periodo di Natale e la prima del tempo Ordinario, e fa da ponte tra un tempo che finisce e uno che inizia. Il titolo della festa ricorda l’episodio con cui Gesù inizia la sua missione, presentandosi da Giovanni Battista e vivendo il gesto penitenziale dell’immersione nel fiume Giordano. Le ricerche storiche attuali fanno pensare a una vicinanza sia di Giovanni Battista sia di Gesù, alla visione spirituale del gruppo degli Esseni, i quali hanno lasciato nella regione di Qumram, vicino al mar Morto, le loro tracce più evidenti. L’episodio acquista per noi un particolare significato per ciò che accade quando Gesù esce dall’acqua; è questo segno che dà significato alla festa di oggi, perché vediamo in questo fatto le caratteristiche di un’Epifania, cioè di una rivelazione dell’identità e della missione di Gesù. Gli aspetti di questa rivelazione sono dati prima di tutto da ciò che Gesù vede: il cielo che si squarcia e lo Spirito Santo che scende dall’alto verso di Lui.

Salendo in alto su un monte, l’uomo pensa di avvicinarsi a Dio, alzando lo sguardo e le mani al cielo, l’uomo rivolge a Dio la sua invocazione. Il segno che riceve Gesù, manifesta che Dio non è più in alto, in un mondo separato e lontano dagli uomini, ma il cielo è aperto e Dio si manifesta vicino alla vita degli uomini, attraverso la sua presenza nell’umanità di Gesù. La manifestazione è poi completata dalla voce di Dio che dal cielo proclama Gesù il “Figlio mio, l’amato”. La voce è prima di tutto rivolta a Gesù: possiamo pensare che Egli abbia preso pienamente coscienza della speciale relazione che lo univa a Dio.

C’è una fondamentale domanda che attraversa la vita di tutti: ci chiediamo se siamo semplicemente il nostro corpo, un insieme di organi che funzionano, come la fisiologia umana ha saputo poi spiegare, o siamo qualcosa di più del nostro corpo? Come si spiega la nostra dimensione spirituale, quell’esperienza messa particolarmente in luce dalle emozioni che proviamo quando ci incantiamo di fronte alla bellezza, o ci commuoviamo di fronte ad un gesto di amore? Come possiamo vivere pensando di non essere solo un agglomerato di materia messo insieme dal caso? Cosa ci dà consapevolezza di essere un “io unico e originale”, non destinato a finire nel nulla? Gesù assume piena consapevolezza che il suo essere è spiegato dalla relazione, dal legame filiale che lo unisce a Dio. Questa coscienza guiderà Gesù in tutto il resto della vita, che dalla relazione filiale con Dio troverà la forza e il criterio per vivere ogni situazione. Già per noi è un’esperienza indimenticabile quando un genitore o un amico ci dice: “Tu sei colui che io amo!”, possiamo pensare cosa è stato per Gesù avere questa luce interiore, il sapere di essere amato da Dio.

C’è poi un altro aspetto di questa rivelazione fatta a Gesù. Quella parola arriva a Gesù mentre compie un gesto penitenziale col quale s’identifica con tanti altri uomini che erano andati a ricevere il battesimo, perché sentivano il peso del loro peccato e speravano nella possibilità di un nuovo cammino. Questa prossimità di Gesù a tutti gli uomini peccatori, fa sì che ciò che ascolta, non sia vero solo per lui, ma attraverso di lui sia vero per tutti. Gesù, che vive nella coscienza di essere un figlio amato di fronte a Dio, si pone in vicinanza a tutti gli uomini perché attraverso di Lui tutti possano vivere con la stessa coscienza di essere a loro volta figli di Dio. Sarà questa la missione che Gesù vivrà da lì in poi per tutta la sua vita: farsi prossimo a ogni condizione umana perché ogni uomo e ogni donna possano vivere la stessa consapevolezza e ascoltare la medesima voce di Dio che dice: “Tu sei mio figlio l’amato”. Gesù resterà fedele a questo compito, fino al momento ultimo, quando porterà questa vita filiale vicino alla condizione estrema di coloro che sono nell’abisso del male, cioè fino alla croce.

il Parroco