Vogliamo vedere Gesù - Gv 12,20-33 L’adolescenza è un tempo cruciale, costituisce il periodo del passaggio dall’essere bambino al diventare giovane e poi adulto, e si caratterizza per essere una stagione di ricerca della propria identità: non si è più bambini circondati dalle cure dei genitori, non si è ancora la persona adulta che saprà realizzare un progetto di vita. In questo tempo cruciale i ragazzi fanno spesso riferimento ai personaggi più in vista dello sport o dello spettacolo e li eleggono come propri eroi, li scelgono come modelli di vita. Succede anche a noi adulti di restare affascinati da qualche personaggio pubblico e di sceglierlo come rappresentativo della vita che immaginiamo felice. Il vangelo di oggi ci racconta di alcuni stranieri in visita a Gerusalemme che, avendone sentito parlare, chiedono di poter vedere Gesù perché pensano che abbia qualcosa di importante da dire sulla vita. Qual è dunque la sua proposta, qual è il suo progetto di vita? Gesù che si trova di fronte ad un appuntamento decisivo, quello che il Vangelo di Giovanni chiama “la sua ora”, quell’ora della quale tante volte si dice che non era ancora giunta e che Gesù dice infine che è venuta. L’ora di Gesù è quella nella quale egli si trova di fronte alla sofferenza della passione, alla violenza di chi lo rifiuta e lo uccide; vede dunque come imminente la sua morte. In quel particolarissimo frangente Gesù riconosce ancora che c’è una relazione che lo fa vivere: sa di essere figlio amato e pone la sua fiducia nella presenza del Padre al quale si consegna. Anche noi guardando a Gesù, possiamo riconoscere che la relazione sperimentata nelle persone che ci vogliono bene ha il suo compimento nella relazione con il Padre di Gesù che è anche Padre Nostro. Dal far entrare profondamente nella nostra interiorità la consapevolezza dell’amore di Dio per noi, deriva uno sguardo nuovo sulla nostra persona. L’amore che illumina la vita di Gesù anche di fronte alla sua morte è amore anche per me, anche di fronte a tutte le ragioni che io trovo per dire che non sono meritevole di amore. Credere all’amore del Padre fa vedere anche in noi la presenza del bene, anche se rimaniamo coscienti del nostro limite e del nostro peccato. Dal credere vero l’amore del Padre nasce dentro di noi la gioia. Accogliendo l’amore del Padre e lasciandolo radicare nel profondo della nostra interiorità, inizia un percorso nel quale perdono progressivamente importanza una serie di cose nelle quali normalmente mettiamo la nostra fiducia, e senza le quali ci sembra di non poter vivere. Si inizia un percorso di libertà. Liberi dal far dipendere la vita dalle cose che possediamo, come quotidianamente insinua la pubblicità, per cui se non possediamo l’ultimo accessorio di moda non siamo all’altezza della società; liberi dal confrontarci col giudizio delle persone, per cui viviamo cercando che gli altri si formino un’opinione positiva di noi. Si potrebbe prolungare con tanti altri esempi questo elenco, diciamo solo che si diventa liberi perché si è fedeli a se stessi, appoggiati sul bene che Dio mette in ciascuno di noi. Dal fondare la vita sulla relazione con Dio, che attraverso Gesù conosciamo come il Padre che ci ama, nasce uno sguardo nuovo sugli altri perché possiamo vederli nella stessa luce dell’amore da cui noi stessi ci sentiamo amati. Abbiamo il compito di essere strumento, perché lo stesso amore che ci fa vivere si realizzi anche per tutti gli altri, magari proprio attraverso di noi. Questo amore deve raggiungere in modo privilegiato coloro che sono segnati dalla durezza della vita. Far entrare dentro la luce dell’amore del Padre, è un percorso che fa fiorire una vita nuova a somiglianza di Gesù. Da queste considerazioni nasce anche in noi il desiderio di vedere Gesù, e vogliamo che sia il desiderio dei bambini più piccoli del catechismo, ai quali oggi consegniamo il Nome di Gesù. il Parroco |