Vide e credette - Gv 20,1-9 Dopo che il corpo di Gesù fu messo nel sepolcro e una grossa pietra rotolata all’imboccatura a chiuderne l’ingresso, le autorità avevano ulteriormente messo sigilli su quella pietra e anche persone di guardia a garantire la perennità di quella sepoltura. Mentre la pietra chiudeva il sepolcro di Gesù, un masso ancora più pesante era stato messo su tutte le speranze suscitate dalle sue parole e dalla sua vita. Il vangelo aveva espresso tutto questo con l’immagine delle tenebre fitte che anche in pieno giorno avevano avvolto la terra. Si era allora spenta la speranza che la ricerca del bene e del vero valesse più della forza e della prepotenza, spenta la speranza che potesse essere riconosciuta la dignità e i diritti dei poveri, spenta la possibilità di perdono, spenta l’immagine misericordiosa e paterna di Dio. Improvvisamente quella cappa di buio che aveva fatto morire la speranza e riempito di tristezza l’animo dei discepoli è squarciata da una luce che s’accende nei cuori delle persone, la luce della fede nella risurrezione di Gesù. Il vangelo che abbiamo letto ci documenta il sorgere della fede nella risurrezione, nel cuore del discepolo amato: l’apostolo Giovanni. Anche gli apostoli hanno avuto bisogno della luce della fede per raggiungere la consapevolezza che Gesù, dopo la sua morte era tornato a vivere. C’è bisogno della fede, perché il fatto che chiamiamo “Risurrezione”, non consiste nel tornare a vivere la stessa vita che viveva prima di morire; per un fatto così sarebbe stato sufficiente costatarlo con i sensi, com’era stato possibile farlo con Lazzaro. Ciò che è avvenuto per Gesù è invece un avvenimento molto più grande, dopo la morte egli vive nuovamente. La vita che Gesù ha raggiunto è una vita assolutamente nuova, infatti, è entrato nel modo di vivere di Dio, un modo di vivere non accessibile all’esperienza dei sensi. La risurrezione è nello stesso tempo glorificazione e ascensione al cielo. La fede cambia totalmente la valutazione del percorso di Gesù: se in un primo momento la morte di Gesù è stata percepita come il suo fallimento, la risurrezione dimostra che la morte è stata la via del compimento della sua vita. Se dopo la morte si poteva pensare che la fiducia che egli aveva messo nel Padre era stata mal riposta, la fede nella risurrezione fa pensare che il Padre è Padre davvero, che è affidabile e che ama di un amore sicuro che non viene mai meno. Dopo la morte di Gesù si poteva pensare di dover dare ragione alla gente che gridava “salva te stesso”, perché se non ti salvi tu non ti salva nessuno; la risurrezione invece testimonia che la salvezza c’è e non ci si salva, ma “si è salvati”. La salvezza è dono che si accoglie e viene da un amore sovrabbondante e sorprendente. Dopo la morte di Gesù si poteva pensare che non valeva la pena di vivere per gli altri, ma occorreva pensare a se stessi. La risurrezione cambia totalmente questo giudizio: amare, anche fino al punto più alto, fino al dono di sé, è ciò che fa toccare il significato più alto del vivere, è vivere allo stesso modo di Dio. Ad aiutare la fede sono dati dei segni: per gli apostoli sono stati la tomba vuota, il sudario, le apparizioni. Questi segni non vengono imposti per costringere a credere, sono un aiuto e lasciano però sempre a ciascuno la libertà di credere. Anche a noi sono dati dei segni, ma ciò che convince è soprattutto la vita cambiata che nasce da quella fede, ciò che convince è l’amore che in forza di quella fede si riesce a vivere. Credere che Gesù dopo la morte ha raggiunto la piena comunione con Dio, porta a pensare che essendo vivo in Dio, rimane vicino a coloro che credono in Lui, e può avvenire che accogliendo il Suo amore, si realizzi quello che avviene sempre nelle grandi relazioni d’amore: la vita di uno diventa la vita dell’altro. Poiché Gesù è risorto, è vero il suo amore, e quell’amore è anche per noi che a quell’amore possiamo essere assimilati, per diventare in questo modo, capaci di amare come Lui. il Parroco |