Non avete ancora fede? - Mc 4,35-41

La Parola di Dio che leggiamo in queste domeniche traccia un piccolo percorso di approfondimento sul tema della fede. Domenica scorsa, attraverso la parabola del granello di senape, Gesù ci ha detto che la fede si può paragonare alla relazione di amicizia, non è una cosa fissa sempre uguale, ma è dinamica, inizia in forma piccola, poi cresce e diventa grande. Attraverso l’episodio dell’attraversata del lago, Egli dimostra nei fatti che cosa significa avere una fede grande. Il tema della fede ritornerà anche nel vangelo di domenica prossima.

Gesù fa vivere agli apostoli un’esperienza che deve diventare esemplare per il cammino della vita, che facilmente si può paragonare all’attraversata del mare su un piccolo guscio che spesso deve affrontare l’esperienza della tempesta. Importante rispetto alla riflessione sulla fede è la domanda che pone Gesù: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Anche noi possiamo domandarci: “Che cos’è la fede?” “Dove inizia il cammino della fede?” Ogni uomo, per vivere ha bisogno di rispondere alla domanda: “qual è la ragione per cui guardando alla vita posso essere consapevole che io realizzo un valore?”. Questa domanda diventa più urgente proprio quando siamo in mezzo alla tempesta e non riusciamo a vedere una via di salvezza, allora ci chiediamo: “Dove si realizza la gioia che la vita promette?” Infine diventa ancora più drammatica quando ci troviamo di fronte alla malattia o alla morte.

So che c’è una facile scappatoia per rispondere alle domande poste, quella scappatoia che nella nostra cultura è così fortemente rappresentata dai personaggi che i media ci presentano come figure simbolo di una vita riuscita. Questa scappatoia individua il valore della persona nell’essere in alto, più in alto di altri nella gerarchia dell’avere, del potere o dell’apparire. Penso che in realtà nessuno di noi, pur a volte incuriositi dal gossip sui personaggi televisivi, voglia prendere qualcuno di questi personaggi a modello di vita. La vita ha bisogno di realizzarsi secondo le esigenze che sono più proprie della persona, la quale gioisce di ogni nuova conoscenza che le permette di spiegare i fenomeni che osserva accadere nel mondo, di ogni frammento di verità che la rende capace di maggiore consapevolezza. La vita è riempita del nostro restare incantati di fronte alla bellezza: perdiamo la percezione del tempo di fronte al cielo che si tinge delle più impensabili sfumature di colori in un tramonto autunnale; resteremmo per ore a cercare di carpire il segreto dell’incanto che crea la luce in un quadro; ci sembra a volte di perdere il contatto con la realtà perché trasportati dall’inseguirsi delle note in una fuga di Bach. Una lacrima spunta nei nostri occhi di fronte alla fragilità e al mistero di un bambino, come di fronte alle rughe che rendono colmo di vita vissuta il volto di un vecchio. Non ci basta una vita che ci riempia lo stomaco, ma abbiamo bisogno di una vita che ci faccia provare la vibrazione dell’anima. Non ci basta una gioia cercata solo per noi, abbiamo bisogno di una gioia che sia nostra e ugualmente per tutti.

C’è poi una seconda domanda nel vangelo di oggi, ed è quella posta dagli apostoli alla fine del viaggio: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?». Anche noi possiamo chiederci: “Come Gesù ci aiuta a rispondere alla domanda sulla ricerca della felicità ?”. Tutti possiamo riconoscerci in questa esperienza: ci strappa dalla sensazione di non contare per nessuno, dalla paura di non avere consistenza ogni sguardo amico che si posa su di noi, ogni voce che ci chiama per nome. Siamo resi consapevoli di avere dignità ogni volta che si rinnova l’esperienza del primo attimo di vita, quando usciti dal grembo di nostra madre siamo stati strappati alla paura dell’ignoto, dalla percezione del suo calore, dal ritrovare il ritmo del suo cuore, dal suo seno che ci nutriva. Allora abbiamo scoperto che la vita era vivibile e che ogni tempesta si poteva affrontare perché non eravamo soli, anzi eravamo amati, eravamo figli. Esperienza che ha la sua forma alta e definitiva nel grido di Gesù sulla croce: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”.

il Parroco