+ Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 6, 51-58

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».

Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Chi mangia la mia carne …… rimane in me e io in lui.

Il testo del vangelo di questa domenica occupa appena otto versetti, è un testo che potremmo considerare breve, in esso ritorna per ben otto volte il termine mangiare riferito al corpo di Gesù; il maestro afferma che è necessario mangiare il suo corpo per avere la vita, mentre gli avversari si chiedono come sia possibile compiere questo gesto. Solitamente leggiamo questo testo interpretandolo come un riferimento al dono del sacramento dell’Eucarestia che Gesù compirà nell’ultima cena. Arriveremo a fare questo collegamento, ma non affrettiamo la nostra riflessione per giungere così presto a questa conclusione.

Il gesto del mangiare fa si che qualcosa che è esterno a noi e, che ricaviamo dalla natura come parte del regno vegetale o animale, entri dentro di noi e avvenga uno scambio, nel quale il cibo cede al nostro organismo quegli elementi che lo nutrono e lo fanno vivere. Mangiare il corpo di Gesù significa che deve avvenire un procedimento simile a quello del cibo: noi dobbiamo far entrare nella nostra coscienza i criteri e lo stile con cui ha vissuto Gesù, in modo che diventino ispiratori dei nostri criteri e del nostro stile di vita. Ciascuno di noi ha un ambito interiore, solitamente lo chiamiamo coscienza, nel quale elaboriamo un sistema di valori o di significati che rappresentano per noi l’immagine di una vita realizzata. Da dove attingiamo quell’insieme di valori? Formiamo la nostra scala di valori attingendo all’educazione ricevuta, alla nostra riflessione sulle esperienze vissute, alla testimonianza degli altri. Mangiare il corpo di Gesù significa desiderare e chiedere di conformare la nostra scala di valori a quella del maestro e di assumere il significato con cui ha vissuto Gesù, perché diventi anche il nostro significato. San Paolo direbbe abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù.

Per fare un esempio potremmo scegliere uno degli atteggiamenti fondamentali che guidava la vita di Gesù. In tutte le cose che faceva e in ogni momento della giornata Gesù viveva sapendo che Dio era suo Padre e sapeva di essere amato da Lui con infinito amore perche era suo figlio. Questa fiducia nel Padre portava Gesù a conservare sempre la pace sia nei momenti favorevoli sia in quelli difficili. Dalla fiducia nell’amore del Padre Gesù ha tratto la forza per rimanere fermo di fronte a Pilato e al Sinedrio. Soprattutto dal sapersi amato dal Padre Gesù ha fatto scaturire la coscienza di avere un compito di far fare l’esperienza di un tale amore anche agli altri, soprattutto ai piccoli a quelli che non erano amati.

Gesù però ci ha detto non solo io sono amato dal Padre, Dio ama anche te e lo puoi pregare come lo prego io. Ascoltare queste parole di Gesù ci porta formulare questa domanda: “Come cambierebbe la mia vita se in ogni momento io credessi davvero che Dio mi ami?”. Io penso che cambierebbe di molto, se mi lasciassi guidare da questo pensiero e sperimentassi questo cambiamento, allora Gesù lo sentirei come una presenza che vive dentro di me. Ecco cosa significa mangiare Gesù, far si che Lui non sia semplicemente una presenza esteriore che conosco sui libri, ma sia una presenza interiore che guida la vita.

Questo processo di interiorizzazione non avviene soltanto attraverso la comprensione dell’intelligenza e lo sforzo della volontà. Come nella relazione di amicizia si crea una comunione per cui si può dire che l’uno vive nell’altro, così Gesù ha costituito nell’Eucarestia il sacramento della sua presenza, in modo che si potesse con Lui realizzare una relazione di comunione, potessimo dire anche noi tu, Gesù, non sei fuori di me, ma sei dentro di me. Sono due percorsi che si integrano e si intrecciano. Mentre ricevo nell’eucarestia il corpo di Gesù, occorre che nell’anima il suo modo di vivere diventi il mio modo di vivere.

il Parroco