Dio infatti ha tanto amato il mondo - festa del Santo Cristo

Con la festa annuale del “Santo Cristo”, accogliamo l’eredità che ci è stata lasciata dai nostri predecessori che sulle rive delle due baie e attorno alla nostra chiesa, nel duro lavoro di pescatori e naviganti, hanno vissuto trovando nel crocifisso forza e ispirazione per affrontare la vita. Il Santo Cristo è l’immagine, si dovrebbe piuttosto dire “l’icona” che, rappresentando Gesù che muore sulla croce, ci aiuta a pensare e accogliere la vicinanza di Dio alla vita dell’uomo. Ho detto “Icona” usando la parola dei fratelli ortodossi, perché la parola “immagine” fa pensare a un prodotto che è opera umana; icona invece fa pensare a un dono “opera di Dio” e il pittore o scultore che la realizza è solo il tramite. Riconosciamo che il Santo Cristo è per la nostra comunità un dono, per il fatto che è sconosciuta la sua origine, ma ancor più perché quando alcuni uomini avevano decretato la sua fine, utilizzandolo come legna da ardere, un segno prodigioso lo ha restituito alla venerazione dei fedeli. Quale vicinanza di Dio si manifesta nel crocifisso? È questa la domanda decisiva dalla quale deriva il nostro modo di credere e anche il significato della festa. Vi propongo di guardare al crocifisso guidati dalla parola che ascoltiamo nel Vangelo di Giovanni: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio”, oppure ricordando queste altre parole del vangelo: “ dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. Dal Crocifisso ci viene una salvezza non perché guardandolo come oggetto magico troviamo immediatamente la soluzione alle difficoltà della nostra vita, ma perché guidati dalla luce della parola, ci aiuta a credere all’amore di Dio per noi, e all’amore che noi dobbiamo vivere per dare un giusto significato alla vita.

Si dice, ripetendo una frase ormai diventata abitudinaria, “Gesù ci ha salvato attraverso la sofferenza”, vi chiederei di cambiarla pensando così: Gesù ci ha salvato con l’amore con cui ha vissuto anche quella esperienza terribile che è la sofferenza. La croce è salvifica perché parla di amore. Parla prima di tutto dell’amore che è l’essere stesso di Dio. Sulla croce Dio si rivela essere amore per la fiducia con cui Gesù affronta il suo percorso di passione. Fin dalla presa di coscienza che lo aspetta una condanna a morte, Gesù sceglie di continuare a fidarsi di Dio, che riconosce come Padre, e di continuare a vivere un atteggiamento figliale, consegnandosi con assoluta fiducia alla Sua volontà. Gesù crocifisso ci parla dell’amore che l’uomo deve vivere, in quanto riflesso dell’amore di Dio, attraverso il suo atteggiamento che, se pur sottoposto alle atroci sofferenze della tortura che lo uccideranno, non impreca o maledice, ma invoca perdono. La risurrezione è il sigillo al percorso di amore, e dice che quell’amore fa superare la morte e fa entrare in una dimensione di vita vissuta in pienezza. Come l’amore della croce diventa salvifico per la nostra vita? Non per un contatto esteriore, come il guardare, l’accendere un cero, il toccare o il baciare, possa venire dal crocifisso un bene alla nostra vita, ma soltanto dall’interiorizzare, cioè dall’assumere come nostri gli atteggiamenti di Gesù. La croce è salvifica soltanto se si cerca di realizzare le parole di Paolo che precedono il testo proposto nella seconda lettura: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”. Ecco allora il senso della nostra festa, ecco il modo con cui, rinnovando la consegna che ci viene da chi ci ha preceduto, dobbiamo guardare al Santo Cristo: formulando nel cuore il desiderio di assumere per vivere, i criteri del morire di Gesù.

il Parroco