Il vino buono - Gv 2,1-11 Ascoltando questo famoso episodio del Vangelo, possiamo accontentarci di commentare: “Quanto è stato buono Gesù ad utilizzare il suo potere divino per risolvere il problema che minacciava di trasformare la festa di nozze di quegli sposi in un deludente fallimento”. Oppure potremmo dire: “Come sono stati fortunati gli sposi ad avere Gesù alla loro festa, hanno potuto avere una fornitura di vino buono, e per di più gratis”. Potremmo anche aggiungere: “Brava Maria, che essendo una donna attenta, ti sei accorta del problema di economia domestica che stava minacciando l’inizio della vita insieme di quella coppia”. Chi fosse propenso al “mugugno” e a vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto, potrebbe dire: “Perché sprecare il potere di Dio per procurare del vino, quando ci sono problemi ben più gravi dei quali si potrebbe occupare”. Alcune considerazioni ci spingono a farci più attenti e a non accontentarci della prima impressione. Se noi avessimo voluto raccontare di un matrimonio, avremmo detto molto di più su chi erano gli sposi, su com’erano vestiti, del numero degli invitati, di quale era il menù del pranzo nuziale, del perché era venuto a mancare il vino. L’evangelista invece si disinteressa di tutto questo, perché usando il suo particolare stile, racconta i fatti come simbolo di ciò che Gesù realizzerà nella sua Pasqua. Leggendo il vangelo di Giovanni, ho invitato già altre volte a considerare l’incrocio di tre piani di lettura che sono: il primo, riguarda l’azione di Gesù, il secondo, la rivelazione di chi è Gesù e del fatto che nell’episodio già possiamo vedere il suo percorso pasquale, il terzo riguarda “i lettori del vangelo”, cioè noi, e ci invita a riflettere su cosa significa l’episodio per la nostra vita di fede. Ci sono vari indizi che spingono a dare del racconto una lettura simbolica. Il primo indizio è la parola che l’evangelista utilizza per definire l’opera di Gesù: quello che noi solitamente chiamiamo “il miracolo di Cana”, egli lo chiama segno, anzi l’inizio dei segni. Ora, “segno” è un’immagine o un racconto che induce a pensare a un’altra cosa. Di che cosa è segno il racconto di Cana? Il secondo indizio non è riportato dalla lettura liturgica che abbiamo fatto, infatti il nostro testo inizia con l’espressione “In quel tempo”, ma il racconto nel vangelo inizia invece con l’espressione: “Tre giorni dopo”. Il terzo giorno è anche quello della risurrezione di Gesù. Nel segno di Cana, già si inizia a vedere il dono della Pasqua. Se non foste ancora convinti che, nell’intenzione dell’evangelista Giovanni, il “miracolo” di Cana è molto più che il racconto di un fatterello edificante, ma si tratta di una figura della Pasqua di Gesù, c’è anche il terzo indizio, che è dato dalla parola “ora”. Tutti i lettori del vangelo di Giovanni sanno che questa parola ha un significato importantissimo, infatti, tutto il racconto del vangelo è scandito dall’espressione “non era ancora giunta la sua ora”, fino al momento solenne in cui Gesù annuncia: “L’ora è giunta” riferendosi chiaramente all’ora della morte e della risurrezione di Gesù. Molti profeti avevano utilizzato l’immagine delle nozze per rappresentare l’alleanza di Dio con il popolo di Israele. Attraverso il racconto di Cana, già si prefigura l’annuncio pasquale: Gesù è lo sposo che viene in nome di Dio ad abbracciare l’umanità, rendendo possibile che la vita si realizzi come una festa. Dio vuole che l’uomo sia felice e la gioia si realizza accogliendo, attraverso Gesù, la rivelazione del Suo amore, un amore assoluto e infinito, un amore misericordioso e gratuito. Quell’amore di Gesù, che avendo amato i suoi, li amò sino alla fine. Maria, la madre di Gesù, è colei che rende possibile il compiersi delle nozze tra Dio e l’uomo e che ci sia la festa. Gesù chiama sua madre con il termine “donna” perché la sua figura rappresenta la chiesa che accoglie e dona a tutti l’amore di Gesù. Per accogliere l’amore di Gesù occorre vivere secondo lo stile di Maria, condensato nelle parole: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». il Parroco |