Il figlio di Giuseppe - Lc 4,21-30

Domenica scorsa abbiamo ascoltato l’inizio solenne e festoso dell’incontro di Gesù con gli abitanti di Nazareth; niente faceva presagire la conclusione drammatica che è rivelata dal vangelo di oggi. Il Vangelo presenta subito l’ostilità degli abitanti di Nazareth, dalla quale si anticipa il rifiuto delle autorità religiose e civili che porteranno Gesù sulla croce. Gesù ci appare per nulla intimorito e, proseguendo imperterrito il cammino, mostra la sua assoluta fiducia nella missione che il Padre gli ha affidato. Non ci interessa dare un giudizio morale sul comportamento dei concittadini di Gesù, ma piuttosto vorremmo cercare le motivazioni della loro ostilità. Una prima espressione che fa capire la motivazione dell’ostilità, è la frase messa sulla bocca degli ascoltatori di Gesù, i quali hanno da ridire circa le sue umili origini, infatti osservano: “Non è forse il figlio di Giuseppe?”. “Non può essere un inviato di Dio uno che loro conoscono bene, in quanto inserito con la sua famiglia nel contesto sociale del paese! Uno di loro, perché vuole ritenersi più in alto e pretendere di essere inviato di Dio? Gesù, che essi conoscono per essere un uomo al pari degli altri, non può essere profeta di Dio.”

L’altra frase che rivela le motivazioni del rifiuto dei suoi ascoltatori è posta sulla bocca di Gesù. Egli attribuisce loro l’aspettativa che compia anche a Nazareth i prodigi fatti a Cafarnao. Gesù sarebbe credibile come inviato di Dio, se manifestasse le sue credenziali divine attraverso i miracoli, ma come accadrà altre volte nel Suo percorso, Gesù si oppone alla richiesta di miracoli per giustificare la fede in lui, in forza di una immagine diversa di Dio, cioè non il Dio magico e onnipotente, ma il Dio padre che ama e sta di fronte all’uomo lasciandogli lo spazio della libertà.

Capita anche nelle nostre relazioni con gli altri, che ci aspettiamo da loro delle conferme a ciò che già abbiamo sperimentato e pertanto chiudiamo le antenne a chi è portatore di una diversità che mette in discussione le nostre sicurezze. Ecco perché tante volte ci sentiamo a disagio con chi è diverso, con chi è straniero. Pretendere che Dio sia come noi ce lo aspettiamo, è l’atteggiamento proprio della idolatria: l’idolo è appunto “Dio pensato come la proiezione delle attese dell’uomo”. Dio invece è Altro rispetto a noi, e stare davanti a Lui con verità, chiede proprio di essere aperti alla manifestazione della Sua diversità. Essere aperti alla novità portata dagli altri ci permette di crescere: impariamo dal confronto con la loro diversità. Se Dio è colui che ci ama, noi dobbiamo essere disponibili a lasciarci sorprendere da Lui e a permettergli di condurci sulle sue strade anche se sono diverse da quelle che noi avevamo pensato.

Oggi voglio dire anche una parola sul bellissimo testo di San Paolo nella lettera ai Corinzi al capitolo tredici, lettera con cui l’apostolo risolve la questione sorta a Corinto, dove i cristiani si contendevano i posti di rilievo nella comunità. Con questo inno indica nella carità l’atteggiamento con cui vivere il servizio alla comunità. Dovremmo correggere però, la traduzione del termine “carità”, non tanto perché sia sbagliato, quanto piuttosto perché noi rischiamo di comprendere questa parola secondo il significato di: “fare la carità”. Possiamo utilizzare al posto di carità il termine più comune e comprensibile di amore. L’amore è l’atteggiamento che realizza nel modo più alto la vita cristiana. Paolo, per dire l’amore aveva a disposizione vari vocaboli: poteva dire “filia” intendendo l’amore come amicizia; poteva usare “eros” intendendo l’amore nella forma di passione. Sceglie la parola “Agape”, meno comune nella lingua greca, per dire che l’amore è da intendere in un modo del tutto particolare. Com’è diverso l’amore dei cristiani? È diverso perché ha nell’amore di Dio la sua motivazione e la sua sorgente. Dio, comunicandoci la sua vita, ci rende capaci di essere come Lui e di amare del Suo amore. Si può dare anche tutto ai poveri, ma non farlo per amore. Amare dell’amore con cui ama Dio ha perciò anche un suo stile, che possiamo riassumere nella qualità della gratuità.

il Parroco