Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito - Lc 22,14-23.56 La vita ci affida il compito di trovare ogni giorno, anzi, più volte al giorno di fronte alle mutevoli circostanze che accadono, le ragioni per gioire di esistere; difficilmente riusciremmo a proseguire nello scorrere dei giorni se non avessimo ragioni per dire: “La vita è bella”. Per tutti la vita arriva all’appuntamento cruciale, quando si è chiamati a fare la verifica più difficile, per vedere se le ragioni su cui si è appoggiata la ricerca della gioia reggono di fronte al collaudo dell’esperienza. Ciò che più mette alla prova le ragioni della gioia è l’esperienza della sofferenza e della morte. Di fronte alla sofferenza e alla morte si pone la domanda: com’è vero che la vita è bella se sono nella sofferenza? Com’è vero che la vita è bella se muoio? Anche Gesù sapeva che il suo percorso di vita andava verso un momento cruciale. A quel momento non è giunto impreparato, ne aveva preso coscienza perché progressivamente aveva visto dei discepoli che lo abbandonavano, ancor più perché si era reso conto che cresceva l’ostilità dei farisei e dei sacerdoti contro di lui, ma per uno che come lui cercava di leggere la volontà di Dio guidato dalla Sacra Scrittura, non poteva non essere illuminante la vicenda di Geremia e degli altri profeti perseguitati. Quante volte Gesù avrà meditato le pagine dove il profeta Isaia tratteggia la figura del servo sofferente che prende su di sé il peccato di molti, avrà immaginato che quelle pagine descrivessero il suo futuro, e avrà pensato a quando lui si sarebbe trovato di fronte al suo percorso di dolore. Poi un giorno la sofferenza arriva ed è una sofferenza grandissima. Da come Gesù ha vissuto il suo appuntamento con la sofferenza e con la morte, deriva anche a noi la luce che dà la possibilità di vivere il nostro appuntamento. Tutti i vangeli hanno al centro il racconto di come Gesù vive il suo incontro con il dolore e la morte e ogni vangelo lo presenta con proprie sfumature. Il racconto di Luca, che leggiamo quest’anno, mette in particolare evidenza gli atteggiamenti di Gesù di fronte alla morte, atteggiamenti che rendono il suo percorso luminoso per tutti gli uomini. Il significato che guida Gesù si rivela particolarmente nelle ultime parole, proprio quelle dette pochi istanti prima di morire. Con esse Gesù riconosce, anche di fronte alla morte, che Dio è Padre, e alle sue braccia si abbandona con totale fiducia. Nel momento della morte, Gesù porta a pienezza l’atteggiamento figliale con cui ha vissuto tutta la vita, e nel momento in cui chiunque avrebbe smesso di credere, egli continua a proclamare che Dio è un Padre che ama. Dalla fiducia nell’amore di Dio, Gesù continua a far derivare il suo amore per tutti: verso i suoi uccisori invoca “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”, poi accoglie le parole di solidarietà del malfattore che gli sta accanto per dirgli che anche lui è amato da Dio e “oggi stesso sarai con me in paradiso”. Gesù ha mostrato che esistere come figli è ciò che dà la possibilità di continuare a ringraziare e gioire della vita, è ciò che fa vivere nella piena libertà, non condizionati nemmeno dalla paura della morte, è ciò che permette di continuare a desiderare che la vita sia felice per tutti. Proclamando la risurrezione di Gesù, la fede cristiana afferma che l’amore del Padre, quell’amore creduto fino a quella misura, esiste veramente ed è amore che ama per sempre. Quel modo di morire di Gesù, cioè morire consegnati all’amore è in realtà “risorgere e vivere pienamente”. Guardando a Gesù, anche noi possiamo rispondere alla domanda dell’inizio: come la mia vita può realizzarsi come gioia? Come potrò anche di fronte alla morte ringraziare della vita? La vita sarà via di risurrezione se sapremo vedere nella fede le braccia di un Padre che ci avvolgono di tenerezza e se da quella tenerezza ci lasceremo avvolgere in tutte le circostanze della vita. La vita si compirà nella gioia se assumeremo gli atteggiamenti del morire di Gesù come atteggiamenti con cui vivere. il Parroco |