La porta stretta - Lc 13,22-30 Ogni mattina ci alziamo e iniziamo ad affrontare la giornata con la speranza che, attraverso gli avvenimenti che vivremo e le persone che incontreremo, si realizzi un’esperienza che ci doni gioia. Ci sono certo delle occasioni di gioia, quando vediamo riconosciute e apprezzate le nostre capacità nel lavoro, quando incontriamo persone che ci offrono stima e benevolenza. L’esperienza della vita non ci offre mai una gioia che sia definitiva, perché la contentezza è sempre frammista a esperienze di delusione e di tristezza. Anche i motivi che ci fanno sperimentare la gioia prima o poi finiscono. Da questo sorge la ricerca di qualcosa o di qualcuno, che finalmente ci offra un’esperienza di gioia che sia piena e che sia per sempre. Chiamiamo salvezza quest’attesa di una gioia così. L’esperienza della gioia che cerchiamo, deve essere capace di permanere anche di fronte all’accadere di qualche avvenimento che arrechi dolore, come l’insorgere di una malattia o di una difficoltà economica. La prova cruciale si pone di fronte al pensiero che la nostra vita terminerà, infatti, la gioia deve essere capace di resistere anche di fronte alla consapevolezza della morte. Come cristiani affermiamo che la salvezza ci è data dall’accogliere il dono della vicinanza di Dio e del suo Amore. L’amore di Dio, che crediamo, ci accompagna e condivide ogni situazione, anche quando attraversiamo il dolore e dalla fede che quell’amore è capace di permanere anche oltre la morte, noi troviamo motivo di gioire della vita in ogni momento e per sempre. Lc 13,22-30: In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: « Signore, sono pochi quelli che si salvano? ». Disse loro: « Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Vorremmo essere certi e garantiti che entreremo in questa salvezza, è questa anche l’aspettativa che aveva quel tale che ha posto a Gesù la domanda sul numero dei salvati; se sono tanti quelli che si salvano possiamo pensare di farne parte. Questa preoccupazione è stata presente anche nel cammino della spiritualità cristiana e qualche volta si è provato ad identificare in qualche pratica religiosa la garanzia della salvezza definitiva. Si è allora detto: “se fai la comunione nei primi venerdì, se porti l’abitino della madonna, se preghi questa coroncina”. Secondo Gesù la salvezza non si riceve mai una volta per tutte, ma ogni giorno occorre ricominciare a credere all’Amore di Dio e soprattutto la salvezza deriva dal saper amare i poveri come Gesù. Dovrebbe essere ormai chiaro dall’insegnamento di Gesù che la salvezza non è paragonabile ad una cosa che si merita o si acquista con opere buone. La salvezza non è nemmeno una cosa che una volta acquisita è posseduta per sempre. Gesù parla di salvezza non come una cosa che si possiede, ma come di una relazione. Tutti noi facciamo l’esperienza di una relazione come nell’amicizia o nel matrimonio, una relazione non è mai garantita per sempre, non va avanti per forza di inerzia, non è neppure resa sicura dall’atto giuridico che le ha dato inizio. La relazione ha bisogno di “nutrimento”. Penso che molte difficoltà nelle coppie derivino proprio dal dare per scontato l’amore nella coppia, senza assumersi come primo compito proprio quello di coltivare l’amore giorno dopo giorno. La salvezza è una iniziativa di Dio e possiamo essere certi della volontà di Dio di essere in relazione con noi, lo ha già detto e dimostrato attraverso Gesù. No ci si salva, ma si è salvati: La salvezza è sempre dono. Se possiamo essere sicuri del Suo amore, non possiamo esserlo altrettanto della nostra risposta. Ogni giorno dobbiamo rinnovare l’impegno a corrispondere con le nostre scelte al suo amore. Come fa il Piccolo Principe, che cura ogni giorno la sua rosa, custodendola sotto una campana di vetro. Gesù dice “sforzatevi”, proprio per porre l’accento su questa responsabilità. Il fatto che la porta sia stretta richiama la necessità di questo sforzo. C’è ancora una riflessione importante alla quale accenno appena. Per corrispondere all’amore non basterà un legame superficiale o esteriore, come non basterà agli ebrei, suoi contemporanei, dire di Gesù “ti abbiamo sfiorato quando sei passato nelle nostre piazze”. Così a noi non basterà dire che siamo stati battezzati o che abbiamo frequentato le chiese, se a questo non abbiamo dato seguito cercando di vivere per attuare la volontà di Dio come l’ha insegnato Gesù. il Parroco |