Voi in me e io in voi - Gv 14,15-21 Un po' di etimologia - Paràclito : è il termine con cui nel Vangelo secondo Giovanni si indica lo Spirito Santo. Si tratta in origine di un termine del linguaggio giuridico che significava letteralmente "chiamato appresso", cui l'equivalente latino è l'ad-vocatus, cioè "avvocato", inteso come "difensore" o "soccorritore", per estensione "consolatore". [ ndr ] --o-- Ogni uomo o donna che viene al mondo deve rispondere a due fondamentali domande: la prima possiamo formularla così: “Quale esperienza o quale atteggiamento realizza la gioia per la quale mi sento predisposto e che cerco di perseguire attraverso le diverse attività e gli interessi che coltivo?”. Molti identificano la gioia con il benessere materiale, il successo, la ricchezza, l’essere in alto nella scala sociale, ammirato e applaudito. La gioia vera deve saper resistere a quelle esperienze che invece inducono a dire che la gioia non esiste come la malattia, la precarietà economica, la solitudine. La verifica decisiva avviene di fronte a quel traguardo che sta al termine della vita di tutti, ed è l’appuntamento con la morte. Una seconda domanda che spesso censuriamo, ma una coscienza sincera non può non ascoltare, riguarda la solidarietà con gli altri e potremmo formularla così: “come posso io essere nella gioia, quando vedo molti altri che sono infelici?” C’è un modo di vivere che realizza una risposta a queste due domande, un modo che offra motivi per gioire anche quando l’esperienza evidente della vita non ne offrirebbe, un modo di vivere che riesca a ricercare insieme con la propria felicità anche quella di tutti gli altri. Affermando che Gesù ci ha salvato con la sua Pasqua, diciamo che gli atteggiamenti vissuti da Gesù nel suo percorso di passione, la sua fiducia filiale nell’amore del Padre e la misericordia vissuta di fronte ai malvagi, mostrano con la resurrezione, che quella è la via per raggiungere la gioia.
Ci chiediamo perciò come sia possibile che la resurrezione non riguardi solo la Sua persona e la Sua vita esemplare, ma riguardi anche noi. Non ci aiuta a questo proposito dire che Gesù ci ha dato un esempio e tocca a noi cercare di imitare il suo comportamento. Io stesso ho detto in una omelia che dobbiamo assumere come nostro modo di vivere i criteri con cui Gesù ha affrontato la sua morte.
Giovanni 14.15-21 : « Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui. »Ma subito nasce immediata l’obiezione: “Come possiamo noi pretendere, con le nostre forze, di vivere nel modo in cui ha vissuto Gesù?” Trovo la risposta a questo dilemma nella parola del vangelo di oggi, dove Gesù descrive quale sarà il suo rapporto con i discepoli. Gesù dice: Io sono in voi. Badiamo bene, non semplicemente davanti a voi come uno che traccia la strada, non semplicemente accanto a voi, come uno che vi incoraggia, ma: “sarò in voi e da dentro di voi, cioè dal vostro interno, vi comunicherò la mia vita”. Chiamiamo questo rapporto di Gesù con i discepoli con la parola: Comunione. La relazione di amore crea comunione; in un’amicizia vera, nell’amore di uno sposo per la sua sposa, avviene uno scambio per cui chi ama vive nell’amato. Questa è la vita cristiana: accogliere nella fede l’amore di Gesù che ci chiama amici e permettere che Gesù diventi una presenza interiore in ciascuno di noi fino a farci vivere come Lui. Nel vangelo di questa domenica c’è poi un’altra parola che ci spiega come la Sua vita potrà diventare la nostra vita, parola con la quale Gesù annuncia il nuovo dono che da risorto potrà fare agli uomini, il dono di una nuova presenza di Dio. Gesù chiama questa nuova presenza “un altro Paràclito”. Questa presenza nuova di Dio è lo Spirito Santo. “Spirito” traduce la parola greca “to pneuma” che corrisponde alla parola ebraica “ruah”; sia in ebraico che in greco la parola si può tradurre con “vento” o con “respiro”. Attraverso il respiro, l’aria ricca di ossigeno entra nel corpo umano, e attraverso i polmoni cede l’ossigeno al sangue, e l’ossigeno è il carburante che fa vivere le cellule. Il respiro dunque permette a qualcosa che è fuori dal corpo, di entrare al suo interno per farlo vivere. Il respiro è un’immagine che ci aiuta a capire il dono dello Spirito: esso comunica la presenza di Dio quale presenza interiore che agendo dal di dentro, rafforza le facoltà umane affinché possano esprimere la stessa vita di Dio. Lo Spirito Santo, partecipando all’uomo la vita di Gesù risorto, rende veramente la persona “immagine e tabernacolo di Dio”. Lo Spirito Santo è dunque il protagonista della vita del credente, possiamo dire infatti che la sua vita è: “vita nello Spirito”. il Parroco |