Va’ a lavorare nella vigna - Mt 21,28-32

Ancora di vigna si parla, cioè di noi

Di fronte all’ascolto del vangelo di oggi, immediatamente ci accorgiamo della somiglianza di questa parabola con quella che abbiamo ascoltato domenica scorsa. Il racconto delle due parabole è ambientato in una fattoria dove si coltiva la vigna e al centro c’è l’invito del padrone (in questo caso del padre): “Va oggi a lavorare nella vigna”.

Il vangelo di oggi

Matteo 21,28-32 : « «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli. ».

Ho già spiegato domenica scorsa e voglio ricordarvelo, che Gesù utilizza l’immagine della vigna non per indicare un qualsiasi lavoro nei campi, (avrebbe potuto ugualmente riferirsi a un campo coltivato a grano o ad altro) Gesù sceglie esplicitamente di ambientare le parabole in un terreno coltivato a vigneto perché sta facendo riferimento a quanto detto nell’Antico testamento dai profeti e dai salmi; attraverso l’immagine della vigna, vuole parlare dell’Alleanza di Dio con il popolo di Israele. L’invito: “Va a lavorare nella vigna” esprime la chiamata a entrare nella relazione di amore con Dio, che Gesù viene a offrire in modo pieno e definitivo.

Risposte diverse sono possibili alla chiamata

Con la parabola dei due figli invitati dal padre a lavorare nella vigna, che rispondono in modo diverso alla chiamata, Gesù vuole fotografare la situazione che si sta realizzando di fronte alla sua predicazione. Gli scribi e i farisei sono, nella società di allora, uomini ritenuti i più vicini a Dio e perciò considerati i maggiori osservanti della legge; sono loro quel figlio che a parole dice sì ma poi non ci va a lavorare nella vigna. Gesù denuncia in questo modo che sono proprio i farisei ad opporsi maggiormente a lui, rifiutando di riconoscerlo come messia e inviato di Dio. Attorno a Gesù ci sono i poveri, i peccatori, coloro che nella società sono ritenuti lontani da Dio, i quali però, dalla parola e dall’amore di Gesù sono guariti e ridestati a guardare alla vita con speranza. Questi sono rappresentati da quel figlio che subito dice no, ma poi ci ripensa e pentito va effettivamente a lavorare nella vigna.

Sarebbe bello poter dire che la parabola riguarda gli scribi e i farisei e finire così, ma il vangelo è una parola detta oggi a noi, che dobbiamo ora riferire la parabola alla vita e cercare di far emergere cosa questa parola dice per noi.

Possiamo ricavare dalla parabola tre considerazioni.

La prima riflessione: domenica scorsa abbiamo messo in risalto la gratuità della chiamata a entrare nella relazione con Dio, ma non dobbiamo pensare che faccia tutto Lui e noi siamo come marionette mosse dai fili che Dio manovra e non dobbiamo far niente. Come ogni relazione avviene sull’incontro di due libertà, alla chiamata di Dio alla fede è possibile dire: “Sì Signore”; ma anche è possibile dire: “Non ne ho voglia”. Dio ci vuole uomini liberi, capaci di rispondere alla chiamata della fede con libertà, condizione indispensabile per dare pieno valore alla decisione personale.

La seconda riflessione riguarda la qualità della risposta alla chiamata di Dio. Per dirsi veri discepoli di Gesù non basta una risposta formale ed esteriore, non basta essere credenti a parole. Non compie la volontà del padre chi solo a parole dice di sì, ma la compie chi effettivamente va a lavorare nella vigna. Non si riconosce la fede dalle parole, ma da una vita che attua nei fatti la volontà di Dio e l’insegnamento di Gesù.

La terza riflessione dice che nella vicenda del primo figlio è mostrata la possibilità di un cambiamento. Di fronte a Dio, non vale la regola che la prima risposta è quella che conta, ma quella che conta è l’ultima risposta. Il primo figlio fa un percorso, riflette sulla risposta data, prende coscienza del suo errore. Alla fine cambia la sua risposta e aderisce alla volontà del padre. Non si diventa discepoli così all’improvviso, dall’oggi al domani, ma attraverso un cammino che chiede una continua formazione e la disponibilità alla conversione.

il Parroco