Viene dopo di me - Gv 1,6-8.19-28

Per chi ha la possibilità di utilizzare internet suggerisco di cercare il dipinto di Matthias Grünewald, conservato al museo della cittadina di Colmar in Alsazia. Può sembrare strana la mia proposta, perché il dipinto non rappresenta la natività, ma una crocifissione, eppure faccio questo invito perché in quell’opera è rappresentato San Giovanni Battista con un dito sproporzionato, molto più grande rispetto a come dovrebbe essere secondo le dimensioni del resto del corpo, puntato su Gesù. In quel dipinto, accanto al dito sono riportate le parole che il vangelo attribuisce a Giovanni Battista: “Lui deve crescere e io diminuire”. Il dito di Giovanni può ben rappresentare il senso del Vangelo che abbiamo letto. La comunità cristiana ha conservato la testimonianza di Giovanni Battista perché aiuta a riconoscere Gesù, quale Messia e inviato di Dio. Proprio il testo di oggi pone l’accento su come la figura del precursore sia funzionale a svelare pienamente Gesù, infatti, abbiamo ascoltato che Giovanni Battista distoglie ogni attenzione da sé per puntare il dito verso Gesù, al quale deve essere rivolta tutta l’attenzione. Giovanni è un faro puntato che serve a indicare che al centro c’è Gesù. Questo messaggio è di particolare attualità, perché anche quest’anno ci accorgiamo dai segni esteriori che adornano le città, dalla pubblicità della televisione, dai giornali, che Natale è festa di tutti e non solo dei cristiani. Ci sono alcune situazioni in cui è proibito dire che Natale è festa della nascita di Gesù, non è più il presepe che esprime il senso del Natale. Se non è la festa di Gesù, per chi si fa festa a Natale?

Il vangelo di oggi

Marco 1,1-8 :
« Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.

Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose:

«Io sono voce di uno che grida nel deserto:
Rendete diritta la via del Signore,
come disse il profeta Isaia».

Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando. ».

Il DNA del cristiano

Cosa si può fare perché la nostra festa di Natale si caratterizzi in senso cristiano e sia riconoscibile come la festa di Gesù?

Ci aiuta a comprendere il messaggio di questa domenica la parola di papa Francesco, che nella esortazione “Evangelii Gaudium” riporta una citazione del suo predecessore: “Non mi stancherò di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva».”

Ci soffermeremo a contemplare la nascita di Gesù, che rievocheremo attraverso il presepe, per riconoscere che dal guardare alla sua vita e dall’ascoltare il suo insegnamento, dal credere vero che Dio è quel Padre di cui egli ha parlato, la nostra vita trova la gioia. Se l’amore che Gesù ha vissuto per tutti, (come ci testimonia il Vangelo e che già intravvediamo nel fatto che nasce bambino inerme e povero) è l’amore stesso di Dio, allora questo amore è per tutti e quindi anche per me; anche io posso pensarmi amato in Gesù.

Col battesimo siamo come Gesù - "E se siamo figli, siamo anche eredi"

Se pensiamo che Dio sia nella persona di Gesù, il quale ha vissuto una vita umana reale, simile a quella di tutti, allora dobbiamo dire che tutte le situazioni della vita possono essere vissute nella presenza di Dio. Egli è vicino a noi mentre andiamo a lavorare, mentre andiamo a scuola o viviamo in famiglia, quando giochiamo o trascorriamo il tempo nel riposo, Dio è vicino quando affrontiamo la malattia o attraversiamo una difficoltà. Si può dire che la presenza di Dio ci accompagna in tutte le situazioni della vita.

"Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione ... in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati."

Poiché Dio si rende presente nella persona di Gesù, riteniamo possibile vivere nei suoi confronti una relazione di amore verso di Lui. Pensiamo a tutte le persone di cui ci parla il vangelo, che hanno avuto la possibilità di amare Gesù e di essere amati da lui. Gesù ha detto agli apostoli: “Vi ho chiamato amici”. Ora questa esperienza, attraverso la fede, è possibile anche per noi; anche a noi è possibile buttare le braccia al collo di Gesù.

il Parroco