Per la porta stretta    Lc 13, 22-30


+ Dal Vangelo secondo Luca

« In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme.
Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi». »

" Bose " sintetizza spesso riflessioni simili a quella odierna col termine « Umanizzazione »

« Ora, se la sessualità umana non è tanto questione di carne, ma di desiderio, ecco che essa si profila come un lavoro, una fatica. Se il desiderio e l’attrazione spingono a gettarsi senza riserve nelle braccia l’uno dell’altra, il primato della relazione e l’esigenza dell’umanizzazione fanno sì che l’amore e l’incontro sessuale esigano un’ascesi, un esercizio, un apprendimento dell’altro, una conoscenza sempre più raffinata dell’altro. L’intesa sessuale può essere un capolavoro, ma certamente non è così frequente ed è frutto di ascolto dell’altro, di intelligenza del suo corpo, di attesa e di rispetto dei suo tempi … Insomma, è un lavoro. »

In questi giorni mi è capitato di leggere questa riflessione sulla relazione uomo – donna, fatta da un monaco Luciano Manicardi, il nuovo priore di Bose che ha sostituito Enzo Bianchi. Se lui presenta come un lavoro la relazione dell’amore umano, possiamo dire diversamente della relazione con Dio? Gesù parla di salvezza non come una cosa che si possiede, ma come di una relazione. Tutti noi facciamo l’esperienza di una relazione come nell’amicizia o nel matrimonio, una relazione non è mai garantita per sempre, non va avanti per forza di inerzia, non è neppure resa sicura dall’atto giuridico che le ha dato inizio. La relazione ha bisogno di “nutrimento”. Penso che molte difficoltà nelle coppie derivino proprio dal dare per scontato l’amore tra i due, senza assumersi come primo compito proprio quello di coltivare l’amore giorno dopo giorno. Anche la relazione con Dio è un lavoro, i maestri spirituali parlano di Ascesi, una parola che deriva dal greco “askesis” che stava a indicare gli esercizi di allenamento degli sportivi, che si preparavano alla gara. Nella vita religiosa si parla di esercizi spirituali. Penso che sia questo il pensiero che Gesù abbia voluto esprimere quando ha parlato della porta stretta. Forse c’è capitato qualche volta di dover passare attraverso un passaggio stretto, per prima cosa abbiamo dovuto deporre lo zaino e altri bagagli e poi metterci di fianco strisciando e tenendo indietro la pancia trattenendo il respiro.

Una prospettiva consolante, rispetto all’idea di questo sforzo che Gesù chiede, è che la nostra parte è una risposta a un’iniziativa che parte da Dio, è lui che ha già fatto la maggior parte della strada e ha attraversato la strettoia della croce.

Il profeta Ezechiele ha fatto poi un’importante rivelazione che richiama fortemente la responsabilità personale: in prospettiva positiva dice che se il malvagio abbandona la sua vita malvagia e compie il bene, Dio vede il bene ora compiuto e dimentica la malvagità precedente. Il profeta però, paventa anche il rischio opposto, che chi fa il bene lo abbandoni e faccia il male.

Gesù nel vangelo di oggi ci richiama anche a un altro aspetto importante: quando afferma che la decisione va assunta nella profondità della coscienza e tradotta nei comportamenti. Non basta un bene solo di facciata o un’adesione solo esteriore, dice infatti ai suoi ascoltatori che non basterà l’opportunità di averlo incontrato mentre attraversava la piazza della loro città.

Possiamo rappresentare in che cosa consiste questo lavoro? Io credo che il primato sia quello della formazione di una vita interiore. La prima impresa è il formulare un’immagine di noi che ci renda consapevoli di avere un nostro posto nella vita. Per tutti è necessario rispondere alla domanda: “Se considero me stesso per come realmente sono e se tengo conto delle circostanze che accompagnano lo svolgimento della vita, perché posso essere contento?”.

Dall’assumere questa identità come fondamento che ci fa stare in piedi, il lavoro consiste nel togliere ogni maschera che ci siamo creati per darci un’identità artificiale. Cancellare ogni traccia di quando abbiamo cercato di sembrare diversi da come siamo per compiacere il nostro pubblico. Il secondo compito è di vivere tutto nella luce della nostra identità, cercando di condurre la vita all’unità.

È un lavoro impegnativo che non contempla ferie e che coincide con il vivere.

il Parroco