Io sono venuto perché abbiano la vita.    Gv 10, 1-10   

Certamente nella società nella quale viveva Gesù era facile, andando nella campagna, incontrare delle greggi e vedere all’opera i pastori. La prescrizione di celebrare la Pasqua sacrificando un agnello, fa pensare ad un società a prevalente carattere pastorizio, che con tale offerta ringrazia e si propizia la fecondità del gregge. Non è però dall’osservazione dei pastori che Gesù prende spunto per l’insegnamento proposto nel vangelo di oggi, piuttosto pensiamo che attinga dalla Scrittura che nell’Antico Testamento ha utilizzato numerose volte l’immagine del pastore per parlare di Dio. Secondo gli studiosi, Gesù avrebbe dato questo insegnamento in occasione della festa della Dedicazione. Il Vangelo di Giovanni scandisce la narrazione dell’attività di Gesù facendo riferimento alle diverse feste ebraiche: nel capitolo decimo si nomina la Dedicazione, una festa invernale nella quale si accendevano molte luci, e nella liturgia si leggeva proprio la profezia del pastore contenuta nel capitolo 34 di Ezechiele.


+ Dal Vangelo secondo Giovanni

« In quel tempo, Gesù disse:
«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
 »

Dalla vita del gregge Gesù prende due immagini: quella della porta dell’ovile, che è necessario attraversare per accedere alle pecore e che occorre varcare per condurle al pascolo, e quella del pastore, l’unico che passa attraverso la porta dell’ovile e conduce fuori le pecore. Le due immagini vogliono esprimere un analogo messaggio: passare per la porta è una via indispensabile per la cura del gregge; solo attraverso quel passaggio si possono portare le pecore al pascolo, necessario per la loro sussistenza. La guida del pastore è necessaria per il benessere delle sue pecore, egli le difende dai pericoli e garantisce loro il pascolo migliore.

Gesù esprime la consapevolezza di essere portatore di un dono essenziale per la vita degli uomini, è lui l’inviato di Dio e rivelatore del Suo amore. È l’amore assoluto e totale vissuto sulla croce da Gesù e dimostrato vero nella resurrezione, l’amore gratuito, che sa amare anche di fronte al male, generando perciò il bene, è l’amore che dà pieno significato alla vita. Dall’accoglienza dell’amore di Gesù è data all’uomo la possibilità di realizzare in pienezza le sue attese di vita.

Le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori - un amore personalizzato, particolare per ciascuno

Dall’amore di Dio deriva che ogni persona possa prendere coscienza della propria dignità e del proprio valore, dall’amore che perdona deriva la possibilità di ricominciare dopo l’esperienza del proprio fallimento, dall’amore deriva la forza di attraversare la fatica e il dolore; nell’amore di Gesù l’uomo impara a vedere il futuro sempre aperto alla speranza. Quando l’amore di Gesù entra nel cuore dell’uomo lo cambia, aprendolo alla ricerca del vero e del bene, poiché nell’amore la persona trova riconosciuta la propria libertà. L’incontro con l’amore fa riconoscere la dignità di ogni altra persona, alla quale si attribuisce il nome di fratello. È dunque l’incontro con Gesù risorto, che testimonia la verità e la grandezza dell’amore, la via necessaria perché la vita si realizzi nella gioia.

Come comprendere questa parola nella circostanza attuale della pandemia da coronavirus? Penso che anche solo per un momento sia passata nella nostra mente la domanda su come comporre insieme la fede nel suo amore e le attuali circostanze. Molti si sono ammalati, molti, i più fragili sono morti, hanno perso la vita molti medici e operatori sanitari, tutti siamo stati costretti a stare al chiuso della casa e non riusciamo ancora a prevedere le conseguenze economiche causate alla società da questa pandemia. Penso che non sia attribuibile a Dio una volontà diretta, come se Lui stesso abbia proprio voluto che accadesse questo. Possiamo dire che nella volontà di Dio c’è anche la pandemia; giacché fa parte del suo disegno l’esistenza di un mondo materiale, essa è segno della fragilità insita nella materia. Riconosciamo tutti il bene che è la libertà, non possiamo attribuire a Dio la colpa se qualcuno fa un cattivo uso della libertà. In un mondo dove c’è la libertà, c’è necessariamente lo spazio dell’errore.

La questione va dunque spostata piuttosto sul tema della libertà: gli uomini hanno usato e stanno usando bene la libertà? Al tempo del diluvio, Noè ha saputo accogliere la volontà di Dio, costruendo un’Arca che preservasse la vita, così dobbiamo dire che non c’è stato un Noè capace di costruire un’arca adatta all’attuale diluvio. O meglio, alcuni Noè ci sono stati, e sono tutti coloro che hanno colto l’occasione per non chiudersi in se stessi e hanno pensato alla salvezza degli altri.

il Parroco