Beati.   Mt 5, 1-12


+ Dal Vangelo secondo Matteo

« In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». »

I racconti delle vite dei santi che leggevamo quando eravamo ragazzi, ce li hanno presentati come figure così straordinarie da farci pensare che fossero persone di un altro pianeta e che fossero nati già santi. Se consideriamo la santità alla luce di quei santi che ricordiamo nel calendario e che la chiesa ci presenta come figure esemplari esponendo le loro statue nelle nicchie, possiamo pensare che la santità consista nell’eccezionalità della vita. Tra i santi ci sono uomini e donne che sono morti martiri per la fede, hanno coperto cariche di grande responsabilità nella chiesa, hanno fondato famiglie e ordini religiosi, hanno vissuto percorsi di penitenza e di grande sacrificio, hanno avuto grazie speciali di estasi e di rivelazioni soprannaturali. Pensando alla vita di queste figure eccezionali, deduciamo che la santità non ci riguarda, perché noi ci sentiamo piccoli rispetto a loro, sicuramente distanti dalla straordinarietà delle loro vite.

I santi del calendario sono tutte figure eccezionali, ma sono così diversi tra loro e così differenti sono le loro vite, per cui non riusciamo a racchiudere in una sola qualità l’essenza della santità. Non si può dire: “il santo è uno che prega sempre”; neanche si può dire: “santo è uno che fa tanta penitenza”. Essere santo non significa fare una determinata cosa.

A complicare la nostra ricerca, che vuole indagare in che cosa consista la santità, capita che venga proclamato beato un ragazzo come Carlo Acutis, morto solo nel 2006, ragazzo che si interessava di internet come fanno tutti i nostri ragazzi. Oppure ci capita che si indaghi sulla santità di persone come padre Mauri o don Nando, che abbiamo conosciuto di persona e con i quali abbiamo avuto la possibilità di conversare. Anche la festa di oggi viene a complicarci le cose: oggi la Chiesa ci dice che i santi sono molto più numerosi rispetto a coloro che sono stati proclamati tali; abbiamo infatti ascoltato una lettura che parla di “una moltitudine immensa che non si poteva contare”. Se i santi sono una moltitudine immensa, possiamo pensare che tra loro ci siano persone che hanno vissuto una vita normale, simile alla nostra, persone che anche noi abbiamo conosciuto, magari i nostri stessi cari defunti.

Nella Sacra Scrittura il termine “santo” è un attributo di Dio; si dice che gli angeli adorino Dio acclamando: “Santo, Santo, Santo”. Con questo termine si vuole dire che Dio è diverso da tutte le cose che sono soggette alla caducità perché in Dio c’è la pienezza dell’essere. Se la santità è una qualità di Dio, in che modo la si può attribuire anche a una creatura com’è appunto l’uomo? Ci troviamo qui a toccare uno dei punti più alti della visione cristiana. L’uomo è una creatura diversa da tutti gli altri esseri esistenti al mondo, perché egli è stato fatto da Dio a Sua immagine e custodisce dentro di sé un principio spirituale che lo rende partecipe della stessa vita divina. Secondo questo pensiero, la santità non è una conquista dell’uomo, che elevandosi sopra la propria natura raggiunge il modo di essere di Dio, la santità è un dono, è Dio che fa dell’uomo un santo, ponendogli nell’interiorità la Sua presenza. La santità è già in ognuno di noi, ma possiamo correre il rischio di non riconoscere questa dignità e di soffocare la vita divina che ci abita.

Le Beatitudini, proclamate da Gesù come introduzione al Discorso della montagna, sono il “programma della santità”. Solitamente leggiamo ogni enunciato partendo dalla prima parte, dove si esprime la condizione che l’uomo deve raggiungere per poter beneficiare della ricompensa, espressa nella seconda parte. Noi leggiamo: “Se ti sforzi di essere povero nello spirito, sarai beato e Dio ti darà il suo Regno”.

Vi propongo di fare una lettura rovesciata, partendo dalla seconda parte di ogni beatitudine. Ciò che è più importante è detto nella seconda parte, dove si esprime l’azione che Dio compie nell’uomo che si apre alla fede. Dall’opera di Dio accolta, dipende la realizzazione di quanto proclamato nella parte iniziale. Potremmo comporre la prima beatitudine così:” Dio vuole darti il suo Regno (cioè renderti partecipe del Suo amore): se accogli l’opera di Dio troverai che tutto il resto vale di meno e pertanto sarai povero nel cuore e nel tuo cuore fiorirà la gioia”.

La santità non è sforzo dell’uomo, ma è dono di Dio; la santità non è qualità di alcuni uomini eccezionali, è una chiamata fatta a tutti perché si lascino guidare dalla presenza di Dio che abita in loro. La santità è la chiamata ad amare, per corrispondere all’amore più grande che Dio ha messo in ciascuno di noi.

il Parroco