Davvero quest’uomo era Figlio di Dio.   Mc 14, 1- 15, 47   VI di Quaresima


+ Dal Vangelo secondo Giovanni

« Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: "Perché fate questo?", rispondete: "Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito"».
Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare.
Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano:
«Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!» …..

…… Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei». Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra.
Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d'Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. »

La liturgia di questo giorno si compone di due momenti che allo sguardo di chi, ignaro della fede cristiana vi assistesse per la prima volta, sarebbero giudicati contradditori, tanto da affermarne l’impossibilità di comporli insieme in un racconto coerente. Eppure proprio nell’accostamento di questi due momenti contrapposti viene anticipato oggi ciò che domenica prossima celebreremo solennemente. Abbiamo dovuto rinunciare alla consueta e gioiosa manifestazione che con un breve corteo verso la nostra chiesa ci aiutava ad immaginare di essere anche noi a Gerusalemme quel giorno e, agitando rami d’ulivo e di palma, far festa per Gesù. Con una liturgia più sobria vissuta all’interno della chiesa, abbiamo ugualmente rivissuto quel giorno: con il racconto evangelico e con la benedizione degli ulivi abbiamo voluto proclamare che Gesù è portatore di gioia, che Dio sta dalla sua parte.

Poi, iniziando la celebrazione Eucaristica il tono della liturgia è drammaticamente cambiato, abbiamo ascoltato narrare il percorso di Gesù che subisce il tradimento di un amico, la brama di potere del sinedrio che non esita a utilizzare false testimonianze per le sue macchinazioni, la vigliaccheria di Pilato pronto al compromesso, l’indifferenza di tutti quelli che non muovono un dito di fronte a quell’ingiustizia, la violenza di chi affonda il colpo mortale nel corpo di Gesù: percorso terribile, che lo fa sembrare un abbandonato da Dio.

•    Unione degli opposti?: “ É dunque questa la Sua cifra? ”

Come si può affermare che questi due quadri si possono incontrare? Come si può pensare che la trama violenta che si accanisce contro Gesù e porta alla sua morte abbia a che fare col realizzare per l’uomo “la gioia”? Questa domanda è ben espressa dal dibattito che si anima di fronte alla croce: da una parte ci sono quelli che stanno sotto la croce e gli dicono: “se sei figlio di Dio scendi dalla croce”; dall’altra parte c’è la fede del centurione che vedendolo morire sulla croce dice: “È veramente figlio di Dio”.

È assai difficile rispondere a queste domande. Si può cominciare col notare che Gesù ha percorso questo cammino giustamente definito una “via crucis, via della croce” pregando il Padre affinché lo sostenesse in quell’ora tenebrosa, “supplicando Dio con forti grida e lacrime”; in tutto questo però, ha sempre lottato per abbandonarsi in Dio e cercare di compiere la sua volontà, non la propria. Sì, Gesù ha vissuto la passione mantenendo la sua piena fiducia nel Padre, ha creduto che Dio non lo avrebbe abbandonato e che sarebbe rimasto con lui, dalla sua parte, nonostante le apparenze di segno opposto e il reale fallimento umano della sua vita e della sua missione.

La soluzione tra queste due posizioni contrapposte sta nell’amore. L’amore che è l’identità di Dio come Gesù l’ha sempre riconosciuto e, anche di fronte a quella tragica circostanza, continua a proclamare consegnandosi a Lui e vivendo illuminato dall’assoluta fiducia nella Sua paternità. L’amore che alla luce della relazione con Dio, Gesù vive nei confronti di tutti, a partire proprio da chi opera contro di lui quella trama di morte. È l’amore in cui Gesù crede, è l’amore che Gesù offre, è tutto quest’amore che rende la sua morte pienezza di vita. Abbiamo fatto tutto il cammino di Quaresima per arrivare a desiderare di vivere come Gesù, come dice l’apostolo Paolo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù.” Avere gli stessi sentimenti, vuol dire non rimanere sconfitti di fronte alle piccole o grandi morti che incontriamo nel nostro cammino, ma soprattutto vuol dire non essere indifferenti alle morti degli altri. Fare Pasqua è far entrare in noi l’amore di Gesù.

il Parroco