Io sono il pane della vita.

 Gv 6, 24-35   Tempo Ordinario XIX


+ Dal Vangelo secondo Giovanni

« In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: "Io sono il pane disceso dal cielo". E dicevano: "Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: "Sono disceso dal cielo"?".
Gesù rispose loro: "Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: "E tutti saranno istruiti da Dio". Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo". »

Nella casa dove sono stato bambino, tutti i giorni c’era lo stesso cibo: a pranzo minestrone e alla sera minestrina. Per fortuna arrivava la domenica quando la mamma era a casa dal lavoro e poteva dedicarsi con più tempo alla cucina, allora la casa si riempiva del profumo del ragù cotto a lungo per la pastasciutta o le lasagne al forno. Dall’osservazione della mamma, che preparava per tempo i ravioli o la cima per la festa di Natale, è nato l’amore alla cucina che i miei fratelli hanno trasformato nella loro professione. Penso che questa esperienza sia comune a molti e riveli quella tradizione culinaria per cui il nostro paese è famoso nel mondo.

È innegabile che, nel nostro tempo, c’è molta attenzione al cibo e al suo confezionamento: si moltiplicano le trasmissioni dedicate alla cucina e i cuochi sono diventati personaggi famosi.

Questo interesse per il cibo è più che giustificato: due sono le esperienze legate alla necessità di cibarci. Nel nutrirsi viene messa in campo l’esperienza della piacevolezza che è un aspetto della ricerca della gioia. Non ci basta introdurre una determinata quantità di proteine, vitamine e carboidrati, abbiamo bisogno che questi elementi ci vengano proposti saggiamente mescolati e conditi, in modo tale da poter accedere all’esperienza del piacere. Perché la vita è proprio fatta così: non ci basta semplicemente respirare, muoverci, inanellare un giorno dopo l’altro, occorre che attraverso gli avvenimenti facciamo l’esperienza della gioia.

Nel fatto del mangiare è messa in gioco l’esperienza della relazione; pensiamo al bambino piccolo che avverte la sensazione della fame: attraverso il pianto segnala il suo bisogno, il pianto si placa e il bambino ritorna a sorridere quando la mamma gli offre il seno da succhiare. Si crea relazione tra chi mangia e chi lo prepara, che attraverso il cibo lancia il suo messaggio; si crea relazione tra quanti sono seduti a tavola e insieme convergono verso lo stesso cibo.

Potremmo ripartire dall’invito che Gesù faceva nel vangelo di domenica scorsa: “Cercate non il cibo che in fretta si deteriora, ma quello che dura per la vita eterna”. Il richiamo di Gesù fa sorgere queste domande: “Qual è il cibo che ci nutre davvero?”. “Dove trovo la vera gioia della vita?”.

Credo che nessuno possa negare di avere l’attesa di migliorare la situazione di benessere nel quale la sua vita si svolge. Avere un corpo sano, conservare le condizioni di una persona giovanile, avere garantito un certo benessere che assicuri un buon tenore di vita e che permetta di togliersi anche qualche sfizio….. Poi pensandoci, se ascoltiamo veramente le attese del nostro cuore, ci accorgiamo che questo non basta a rendere felice la vita.

Non possiamo sognare una vita che non sia mai sfiorata dal decadimento dell’età, non possiamo pensare di essere garantiti dal rischio dell’insorgere di qualche malattia, eppure dovremmo poter dire anche allora che la vita ha senso, che anche in quel tempo avremo motivi per gioire della vita.

I momenti in cui abbiamo sentito maggiormente la percezione della gioia, sono legati all’esperienza dell’amore

Se riflettiamo bene sul cammino della nostra vita, ci rendiamo conto che i momenti in cui abbiamo sentito maggiormente la percezione della gioia, sono legati all’esperienza dell’amore. Proviamo gioia di esistere, cresciamo nella coscienza del nostro valore, sentiamo che ha senso vivere ogni volta che un altro ci dichiara il suo amore. L’amore che cerchiamo, necessario per dare fondamento alla vita, deve essere un amore davvero speciale. Cerchiamo infatti un amore assolutamente gratuito, un amore da non comprare con i nostri meriti. Cerchiamo un amore misericordioso, così grande e totale che continui ad amarci anche di fronte al fatto che deludiamo e che presentiamo il nostro volto oscuro e poco amabile; un amore perciò che sia creatore di bene anche di fronte al nostro male. Cerchiamo un amore capace di dire “per sempre”, che ci ami anche in previsione del tempo che finisce, dandoci la certezza che ci amerà anche oltre tale limite. Esiste un amore così? Noi possiamo rispondere che tale amore esiste, che si è reso visibile ed è stato offerto a tutti nella persona di Gesù, che nella vita ha continuato ad amare, anche quando i chiodi dell’odio s’incidevano nella sua carne sulla croce. L’enigma posto dalla vita, per noi cristiani schiarisce e si scioglie guardando all’esistenza filiale che Gesù ha vissuto sulla croce.

il Parroco