Amerai il Signore tuo Dio …… Amerai il tuo prossimo.

 Mc 12, 28-34   Tempo Ordinario XXXI


+ Dal Vangelo secondo Marco

« In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: "Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza". Il secondo è questo: "Amerai il tuo prossimo come te stesso". Non c'è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all'infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l'intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo. »

Accanto ai cambiamenti dovuti alle conoscenze scientifiche e alla produzione di strumenti tecnologici sempre più avanzati, sono avvenute profonde trasformazioni culturali. Quella attuale si chiama “società liquida”, per dire che non ci sono più punti di riferimento validi per tutti, ma ognuno ha la sua verità. Una parola che ha fatto le spese di questo passaggio è “comandamento”.

Se in passato gli uomini hanno pensato la vita come naturalmente sottoposta a un’autorità, quella familiare del padre, quella terrena del re o quella trascendente di Dio, il cambiamento culturale degli ultimi secoli ha messo al centro l’uomo e la sua libertà. Oggi non si è più disposti ad accettare che sia un altro dall’esterno a dettare le norme su come vivere o su che cosa si deve fare o non fare. Come i ragazzi che da un momento della vita in poi si ribellano all’autorità dei genitori, cosi per molti uomini e donne non c’è nessuna autorità, nemmeno quella divina che può comandare sulle scelte di una persona. Per questo constatiamo che hanno perso valore i richiami morali della Chiesa e le stesse norme contenute nei comandamenti. Se analizziamo il modo di vivere diffuso, vediamo come non ci siano più regole che valgano per tutti, ma ognuno ritenga di poter vivere seguendo gli impulsi del proprio sentire. Rispetto a quest’atteggiamento, che possiamo chiamare “relativismo etico”, per fortuna resiste ancora come limite il rispetto dell’altro: puoi fare tutto ciò che vuoi purché i tuoi comportamenti non danneggino gli altri.

Considerando l’esperienza della vita, dobbiamo affermare che non è sempre facile fare la scelta giusta, non tutto ciò che si desidera corrisponde al bene. Risuonano all’interno del nostro cuore voci contraddittorie: da una parte una voce ci induce a ricercare egoisticamente il nostro personale interesse; una voce, a volte molto flebile, ci suggerisce di scegliere quella strada che realizzi insieme col nostro, anche il bene degli altri. Riflettendo poi sui nostri comportamenti siamo costretti a riconoscere che le scelte compiute, i comportamenti vissuti, non hanno realizzato un’esperienza di cui andare fieri, anzi, un rimprovero si alza dalla nostra coscienza a segnalarci l’esperienza del peccato. Anche San Paolo, nella lettera ai romani esprime questa consapevolezza: “Faccio il male che non voglio”. Non è dunque la strada del fare tutto ciò che si vuole, ciò che realizza la nostra autentica felicità, ma occorre un lavoro interiore per imparare, tra le tante voci che risuonano dentro di noi, a riconoscere e seguire la voce che ci invita al bene. Socrate richiamava gli ateniesi a cercare la virtù, anche Buddha propone, nel suo ottuplice sentiero, di ricercare un retto modo di agire.

Lo stile del discepolo:

Ecco il senso del comandamento: in quello spazio segreto della nostra coscienza c’è un richiamo a una responsabilità, la vita sta di fronte a noi e dipende da noi darle una o l’altra direzione. La strada che dobbiamo fare è quella di riconoscere il valore del dono della vita e manifestarlo nei diversi comportamenti. Con il dono della vita Dio ha messo dentro di noi il seme del bene e ci ha detto: “Ora affido a te questo seme, custodiscilo, innaffialo, concimalo, fallo crescere perché riempia di sé la tua persona”. Il comandamento non è una voce che dall’alto guida come un telecomando la nostra vita, ma la voce interiore che ci impegna ad attuare la vita secondo l’altissima dignità della persona che ciascuno di noi è. Se ci sono comandamenti scritti nei libri, sono per aiutarci a decifrare le voci della nostra coscienza.

Comprendiamo allora la domanda dello scriba che chiede di essere aiutato a discernere tra voci contrastanti l’appello al bene scritto nella sua coscienza. Qual è il primo dei comandamenti? E Gesù pesca tra le tante parole della scrittura due parole, elevandole sopra le altre perché queste contengono tutti i comandamenti. Prende queste due parole che sono nei libri della Bibbia, staccate fra loro, una qua e l’altra là e le avvicina, perché sono come un’unica parola, e una non può essere vissuta senza l’altra. Quest’unica parola che è il primo e unico comandamento è: Amare nella duplice direzione, Dio e il prossimo.

il Parroco