Davvero quest’uomo era Figlio di Dio.


Settimana Santa - Ciclo B - Colore rosso


Is 50, 4-7


+ Dal Libro del profeta Isaia

« Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,
perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato.
Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli.
Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro.
Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,
le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. »


Mc 15, 1-39 (Forma breve)


+ Dal Vangelo secondo Marco

« Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco
Al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato. Pilato gli domandò: «Tu sei il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose. Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: «Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!». Ma Gesù non rispose più nulla, tanto che Pilato rimase stupito.
A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta. Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio. La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. Pilato rispose loro: «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba. Pilato disse loro di nuovo: «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Ma essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.

Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.

Costrinsero a portare la croce di lui un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.

Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei». Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra.

Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d'Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.

Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.

   ( qui si genuflette e si fa una breve pausa )

Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!». »

La liturgia di questo giorno si compone di due momenti che allo sguardo di chi, ignaro della fede cristiana vi assistesse per la prima volta, sarebbero giudicati contradditori, tanto da affermarne l’impossibilità di comporli insieme in un racconto coerente. Eppure proprio nell’accostamento di questi due momenti contrapposti viene anticipato oggi ciò che domenica prossima celebreremo solennemente. Con un breve corteo verso la nostra chiesa, agitando rami d’ulivo e di palma, abbiamo potuto immaginare di essere anche noi a Gerusalemme il giorno dell’ingresso di Gesù riconoscendo che Lui è portatore di gioia, che Dio sta dalla sua parte. Poi, iniziando la celebrazione Eucaristica il tono della liturgia è drammaticamente cambiato, abbiamo ascoltato narrare il percorso di Gesù che subisce il tradimento di un amico, la brama di potere del sinedrio che non esita a utilizzare false testimonianze per le sue macchinazioni, la vigliaccheria di Pilato pronto al compromesso, l’indifferenza di tutti quelli che non muovono un dito di fronte a quell’ingiustizia, la violenza di chi affonda il colpo mortale nel corpo di Gesù: percorso terribile, che lo fa sembrare un abbandonato da Dio.

Come si può affermare che questi due quadri si possono incontrare? Come si può pensare che la trama violenta che si accanisce contro Gesù e porta alla sua morte abbia a che fare col realizzarsi per l’uomo “la gioia”? Questa domanda è ben espressa dal dibattito che si anima di fronte alla croce: da una parte ci sono quelli che stanno sotto la croce e gli dicono: “se sei figlio di Dio scendi dalla croce”; dall’altra parte c’è la fede del centurione che vedendolo morire sulla croce dice: “È veramente figlio di Dio”.

È assai difficile rispondere a queste domande. Si può cominciare col notare che Gesù ha percorso questo cammino giustamente definito una “via crucis, via della croce” pregando il Padre affinché lo sostenesse in quell’ora tenebrosa, “supplicando Dio con forti grida e lacrime”; in tutto questo però, ha sempre lottato per abbandonarsi in Dio e cercare di compiere la sua volontà, non la propria. Sì, Gesù ha vissuto la passione mantenendo la sua piena fiducia nel Padre, ha creduto che Dio non lo avrebbe abbandonato e che sarebbe rimasto con lui, dalla sua parte, nonostante le apparenze di segno opposto e il reale fallimento umano della sua vita e della sua missione.

La soluzione tra queste due posizioni contrapposte sta nell’amore. L’amore che è l’identità di Dio come Gesù l’ha sempre riconosciuto e, anche di fronte a quella tragica circostanza, continua a proclamare consegnandosi a Lui e vivendo illuminato dall’assoluta fiducia nella Sua paternità. L’amore che alla luce della relazione con Dio, Gesù vive nei confronti di tutti, a partire proprio da chi opera contro di lui quella trama di morte. È l’amore in cui Gesù crede, è l’amore che Gesù offre, è tutto quest’amore che rende la sua morte pienezza di vita. Abbiamo fatto tutto il cammino di Quaresima per arrivare a desiderare di vivere come Gesù, come dice l’apostolo Paolo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù.” Avere gli stessi sentimenti, vuol dire non rimanere sconfitti di fronte alle piccole o grandi morti che incontriamo nel nostro cammino, ma soprattutto vuol dire non essere indifferenti alle morti degli altri. Fare Pasqua è far entrare in noi l’amore di Gesù.

il Parroco