fra Luca Pozzi - "CHI È L'UOMO? - Quale volto dell'uomo viene rivelato da Gesù di Nazareth? 3 dicembre 2013

 

L'uomo tramandato dalla scrittura - l'uomo segno di dio nel creato - La prospettiva che la scrittura ci reca dell'essere uomo: da una parte la grandezza - che cos'è l'uomo perché te ne curi? - ma la domanda stessa implica la sua piccolezza, perché messo davanti al creato, se guardo al firmamento - che cosa è l'uomo perché tu te ne ricordi? - da una parte c'è lo stupore del salmista perché questo dio, Jahvhè, ha voluto dare all'uomo questa misura, questa statura, questa centralità, dall'altra, a guardarla bene, questo uomo è piccola cosa, e ci sono altri passaggi negli stessi salmi - l'uomo è come l'erba, alla mattina germoglia, alla sera secca - questa condizione insieme grande e friabile dell'uomo, che però mi pare dissenta, e nello stesso tempo informi quella condizione che noi possiamo trovare in Genesi. Voi sapete che la Genesi ha due racconti della creazione, ci sono due fonti che precedono il testo della bibbia che noi abbiamo, uno è quello della creazione che noi conosciamo, i giorni e poi alla fine della creazione l'uomo che è messo al centro come custode della creazione e però anche testimone, come signoria della presenza di dio, un po' il suo rappresentante nella creazione.

Dignità e creaturalità dell'uomo - E poi c'è n'è uno che non è tanto comune che dice così: "allora il signore dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita, e l'uomo divenne un essere vivente" - in questa descrizione plastica, dio è visto qui, un po' antropomoformificamente, come una che fa della ceramica, piglia della creta, fa questo omino, in realtà non è neanche proprio terra, ma è polvere del suolo - polvere mi pare che dica di questa precarietà di questo componente organico - e cosa fa? Soffia nelle sue narici l'alito vitale. Vedete un po' questa doppia distanza che caratterizza la radice dell'uomo, da una parte tratto dalla polvere della terra, ma nello stesso tempo abitato, insufflato di questo spirito di vita, è un composto instabile, è un'esperienza che facciamo tutti, l'uomo è cosa instabile, perché la fatica che facciamo continuamente è - di solito non ci pensiamo a queste cose - nell'insieme la grandezza e la miseria della nostra condizione, l'altezza e la povertà della nostra condizione, e nello stesso tempo mi pare che questo racconto ci dica che là dove noi tentiamo di tenere una "tensione dialettica" tra questi due poli, soltanto là si sviluppa e cresce l'uomo, non è uno sbaglio, è proprio che siamo fatti di questo, da una parte della stessa pasta della creazione, la stessa materia della creazione, ma nello stesso tempo abitati, permeati di questo spirito divino; poi chiaramente Gesù si inserisce nella creazione e la porta alla sua pienezza.

Uomo a immagine e somiglianza di dio - la sua natura - dio si fa uomo - Il papa dice in quel testo - non so se lo avete già visto - lo "evangelii gaudium", al punto 3 del primo capitolo che "la dignità dell'uomo è conferita all'uomo dall'amore infinito, incrollabile di dio, come a dire l'uomo è vocazione, che è possibile tendendo in tensione questa nostra doppia componente, ma bagno, dentro un'atmosfera - come posso dire - un clima che è quello di questo amore infinito, incrollabile di dio per noi. Sappiamo tutti che questo percorso non è scontato, non è banale, né facile. Qui faccio un salto radicale, arrivo alla lettera agli Ebrei: "non certo a degli angeli dio ha sottomesso il mondo". Dice l'antico testamento "di onore e di gloria lo hai coronato, gli hai messo ogni cosa sotto i suoi piedi, avendo sottomesso a lui tutte le cose, nulla ha lasciato che non fosse sottomesso ." - sta parlando dell'uomo Gesù la lettera agli Ebrei, che inizia in questo modo paradossale, se ci pensate ha delle analogie, il figlio è pienamente dio, ma è pienamente uomo, un composto così vicino a noi - perdonate le eresie che dico, ma non faccio teologia - l'unico modo per salvare questa sua creatura così particolare, che è unica tra le altre, è a sua immagine e somiglianza, che è stata voluta da lui e posta al centro della creazione, ma che è fatta della materia di cui è fatto tutto il resto del creato, assume la sua condizione, fa l'esperienza dell'essere uomo, gli mancava questa esperienza, in Gesù dio fa l'esperienza dell'essere uomo, non possiamo salvare nessuno se non ci mettiamo nei suoi panni.

Il creato, realtà incompiuta - E poi tutta la riflessione dei cristiani dei primi secoli, la nostra fede è fondata lì - che ne siamo più o meno consapevoli - ha lavorato sull'itinerario di questo uomo, preso lì dov'è, ma nello stesso tempo chiamato, vocato a quella pienezza che gli viene offerta, anche perché - sapete - c'è una vocazione già inscritta nella creazione, la vocazione è anzitutto una chiamata alla vita, ma "creatura", se ci pensate un attimo, quel "ura" vuol dire una cosa che non è ancora compiuta - provate a pensare un'altra parola che finisce per "ura" . "ave Caesar, morituri te salutant", coloro che moriranno, che stanno per morire, ti salutano, la creatura è per sua espressione, anche nella parola che noi usiamo, un qualcosa che non è compiuto in sé, si sta compiendo, è in fase di compimento, quindi la creazione è in movimento - poi Paolo lo riprenderà questo discorso, in quel bellissimo passo "la creazione geme e soffre nelle doglie del parto, perché vuol partecipare alla liberà dei figli di dio" - tutta questa sorte di gestazione cosmica, tutta la creazione, con dentro a questa creazione, come anticipo, primato, l'uomo che ne è un po' interprete della creazione, allora c'è una vocazione già dentro la creazione, la creazione ha da compiersi, non è compiuta.

Responsabilità verso la natura - Pensiamo alla responsabilità che abbiamo - non soltanto perché c'è il riscaldamento, il riscaldamento è un problema che è sintomo di un problema, ma il tipo di partecipazione che noi abbiamo nella creazione, non siamo messi nella creazione per sfruttarla, siamo nella creazione per essere il segno di dio nella creazione, ci vorrebbe un po' più di rispetto; dicevo - già c'è una vocazione dentro la creazione, e poi certamente c'è una vocazione più piena, più ampia, dentro la prospettiva che Gesù rivela all'uomo.

Partecipazione alla natura divina - la rabbia di Lucifero - La seconda lettera di Pietro dice che ci è stata donata la partecipazione alla natura divina - dio si è fatto uomo perché l'uomo diventi dio, in un modo paradossale, perché siamo chiamati a diventare dio, ma in un modo incarnato, non da puri spiriti, non - dice la lettera agli Ebrei - come gli angeli, dio non ha scelto di farsi angelo, ma ha scelto di farsi uomo, e questa è la sua dignità, una dignità particolarissima; allora i puri spiriti - sapete che c'è una tradizione che dice che il peccato di Satana, e propriamente di Lucifero, è stato che lui, così puro (era un angelo), vedendo che dio è appassionato dell'uomo, che è molto meno puro di lui, ci avesse talmente rabbia, risentimento, un orgoglio ferito, che lì sia stato il suo grande peccato, che non abbia accettato questa scelta di dio, che comunque al centro della creazione ci sia l'uomo. Dicevo, questo itinerario per andare dove l'uomo è pensato, voluto, desiderato . l'itinerario è verso essere figli.

L'eresia della dualità - Giovanni dirà "lo siamo già realmente, ma quello che saremo non lo sappiamo ancora", ma questo essere figli nel figlio, con il figlio e per il figlio, è la nostra vocazione, è quello essere divini in modo umano, perché noi siamo abituati a tenere il divino ai piani alti, sopra il tetto, e l0umano ai piani bassi, perché pesiamo, secondo una visione spirituale che abbiamo mutuato dal mondo greco, che non c'entra niente con il mondo biblico, e dobbiamo fare la fatica, anche a livello di pensiero, di provare a tenere insieme, per cui il divino seconda la bibbia, la storia è il luogo dove si manifesta la divinità, l'umano è il luogo della epifania, cioè della manifestazione del divino, è chiamato ad essere luogo della manifestazione del divino, ma - lo sappiamo tutti - molto spesso non lo è; e noi non funzioniamo così, se ci pensiamo bene - basso e alto - e non è così, questo è mutuato dal pensiero greco, non è roba cristiana, non è roba biblica, un cammino impegnativo ma anche entusiasmante - se sentiamo solo l'aspetto dell'impegnativo di questo cammino, scusatemi, andiamo a casa.

Il cristianesimo funziona, si propaga per contagio - Gesù è venuto ad annunciarci una buona notizia, le cose quando sono belle davvero costano anche, ma siamo disponibili se scopriamo la bellezza di una cosa, il valore di una cosa, "a pagarne un prezzo", a capire che comunque ci mette in gioco, ma la cosa centrale è che noi ne sperimentiamo, ne proviamo la bellezza, se no davvero saremo degli infelici, delle persone tristi, lamentose, un po' recriminative, la chiesa è piena di persone così - non solo dentro - il cristianesimo, dice il papa, passa, funziona, si propaga per contagio, non tanto per bombardamento di concetti, di contenuti, nei confronti della comunità cristiana primitiva i pagani dicevano "guarda come si amano", erano attrattivi col loro stile di vita. Questo cammino - non ci illudiamo - crescerà tra successi e insuccessi, partenze, battute di arresto, momenti in cui si cade, momenti in cui ci si rialza, importante, mi verrebbe da dire, è che questo cammino sia fatto insieme, tenendo lo sguardo fisso su Gesù, autore e perfezionatore della fede, e con lui rivolti al padre.

Analisi di comuni prassi esistenziali - visione spesso tragica della vita - Mi farebbe piacere con voi provare a tratteggiare, a dare nome ad alcuni aspetti che sono a tema, fortemente a tema, là dove parliamo di un essere uomo secondo la visione dell'uomo che Gesù ci rivela - non solo ce la rivela, ce la offre anche concretamente - dentro al nostro vivere quotidiano. Il problema che abbiamo tutti è un po' tenere insieme la vita e la fede, per cui la fede vuol dire andare a messa la domenica, poi se il parroco insiste veniamo anche all'incontro, e poi facciamo la carità col bollettino di sant'Antonio, ma poi, che ci sia tutta questa unità tra la vita di tutti i giorni e la fede che professo e in cui credo, si fa fatica, per il motivo che dicevo prima, che siamo un composto instabile, e che siamo - diciamoci la verità - storicamente educati ad una fede che con fatica fa radici profonde. Il primo discorso è quello che noi dobbiamo metterci in cammino - lo so che sono cose vecchie - ognuno di noi ha una sua provenienza, ha una sua visione delle cose, che non voglio dire che sia giusta o sbagliata, è la sua visione. Il vangelo però ci chiede di confrontare la nostra visione, che certe volte può essere tragica a guardar bene, c'è un mucchio di gente che ha una visione tragica della vita, certe volte può essere superficiale, certe volte può essere un po' ideologica, un misto di queste qui, qualcosa di più, qualcosa di meno, anche molto belle, non è che voglia solamente sottolineare il negativo, però c'è una visione della vita che il vangelo ci offre, che ci chiede di usare come criterio, come verifica delle nostre visioni personali, e questo ci mette in cammino.

Necessità di un rapporto fiduciale con la vita - Essere un po' disponibile a lasciare, a lasciarci, i realtà quando lasciamo non è tanto che lasciamo cose o situazioni, ma è lasciare le cose cui sia tanto affezionati di noi, alle volte sono cose di cui siamo così convinti, che fanno così parte di noi, che non è detto che siano così veramente fondate, o così verificate, o così evangeliche. Metterci in questo esodo, che è la nostra normativa, lo leggiamo in tutte le quaresime, non è che si dice "gli Ebrei sono finiti, ora ci sono i Cristiani", e no, ai cristiani la liturgia fa rileggere l'esodo, perché in quel racconto di quel grande viaggio c'è un po' la parafrasi, la parabola di ogni viaggio, di ogni cammino, anche del nostro. Allora questo lasciare e questo lasciarci, questo lasciare l'Egitto, la terra della schiavitù . per liberare coloro che per paura della morte sarebbero rimasti schiavi tutta la vita, ci saranno altre paure, ci sarà anche un po' di peccato nella nostra vita da lasciare, un po' di Egitto ce l'abbiamo da lasciare tutti. Lasciare e lasciarci per entrare un rapporto fiduciale con la vita, domandiamoci se abbiamo un rapporto fiduciale con la vita, perché no si può dire che io credo in Gesù Cristo, ma non ho un rapporto fiduciale con la vita, perché è la prima grande spaccatura. Fiduciale non vuol dire banale, non vuol dire ingenuo, no, no, però il vangelo ci parla di un rapporto fiduciale con la vita, la fede, se è vera, si traduce anzitutto lì. Se siamo sempre sospettosi, se siamo sempre arrabbiati, se siamo sempre . sto' vangelo, sto' Gesù, va bene in chiesa.

Cambiare lo sguardo sulle cose - senso di appartenenza al creato - La conversione è innanzitutto un cambio di sguardo sulle cose, perché è un cambio di mentalità, e noi siamo ancora legati al pensiero che la conversione è diventare da cattivi, buoni . questo è un aspetto, ma non è il principale, facciamo molta più fatica a cambiare il punto di vista prospettico che non a diventare un po' più buoni, eppure il primo e più grande cambiamento è questi qui, è verificarci su questo, il mio cammino di fede che faccio da 50, da 30, da10 anni ha modificato il mio rapporto con la vita, lo ha reso un rapporto più fiduciale . poi mi vien da dire, secondo le nostre dimensioni più essenziali, parlavamo di creaturalità, di creazione, allora siamo inseriti nella storia e nel creato, ci sentiamo partecipi della storia che viviamo, non basta leggere il giornale o guardare internet, non basta . c'è un essere partecipi della storia che viviamo, sapete come possiamo fare la prova del nove? Se noi siamo partecipi delle storie, quelle più piccole in cui siamo inseriti, perché c'è la grande storia, per cui nell gran parte degli ambiti siamo tagliati fuori, ma le piccole storie, da quelle non siamo tagliati fuori, ma che tipo di appartenenza, di giocarmi sulle piccole storie, perché sulle piccole storie, sulle nostre relazioni quotidiane, sui piccoli o grandi eventi della mia terra, dei miei luoghi, ebbene lì - oggi si dice "pensare globale e agire locale", "glocal", bruttissimo come neologismo, però significativo - come percepiamo i segni dei tempi, come direbbe Gesù, i segni dei tempi dove li cogliamo se non nella storia? C'è un altro luogo dove cogliere i segni dei tempi? Quanto la fede mi mette in sintonia e in rapporto con la storia, quindi con le storie del paese, del mio comune, del mio rione, la mia scala, il mio condominio, la mia famiglia, il mio lavoro, le storie. Eppoi siamo tutti creati perché c'è il "global warming", perché abbiamo paura che faccia troppo caldo, eh ma non basta, questo è un senso di responsabilità che la bibbia ci dice che abbiamo sulla creazione, che mi domando se la fede mi sta facendo maturare . una attenzione, un senso di appartenenza, facciamo parte di questa creazione - tante volte è come se camminassimo su un binario parallelo, poi ci preoccupiamo perché si stanno estinguendo le specie, beh c'era più varietà una volta, oppure ci preoccupiamo perché il global warming ci interroga, ci cambia le condizioni esistenziali, allora sì che ci viene in mente la creazione - come sto in contatto con la creazione?

"già ma non ancora" - Due grandi filoni vengono da quella frase "già ma non ancora", il regno è già ma non ancora. Il già mette a tema la dimensione sapienziale della vita e mi domanda: "quanto so riconoscere il bene in me e attorno a me, goderne ed esserne grato (sia in me, sia attorno a me)? Bisogna farsele tutte e tre le domande. Se la fede non mi abilita a diventare una persona che affina il suo sensore sul bene, è una fede povera, povera, povera. Essere uomini secondo il vangelo, secondo Gesù, è questa cosa qui: stupirsi, gioire del bene nostro e altrui.

Il non ancora mette a tema la dimensione profetica della vita e ci dice esattamente il contrario, quello che non c'è, lo aspettiamo, lo speriamo, ma non c'è ancora . sappiamo tollerare la mancanza? Lo scarto che c'è tra il desiderio e la realizzazione, tra l'ideale e la realtà, tra .? Detta in un altro modo, davvero abbiamo assunta la condizione creaturale? Quella di cui parlavamo un quarto d'ora fa. Davvero abbiamo assunto la condizione creaturale? A me non sembra così ovvio che l'abbiamo fatto. Nella fede abbiamo assunto la assenza-presenza di dio? perché non è un bambolotto dio, non è babbo natale, rimane un mistero . certo è un mistero di misericordia, di fedeltà, ma rimane mistero e allora sperimento anche la sua assenza. Un mistico parlava di assenza bruciante. Sappiamo stare, e come, nell'esperienza del fallimento, del peccato, perché la fede dovrebbe farci rimanere nell'esperienza del fallimento e del peccato, che sono due esperienze umanissime, da cui i cristiani non sono esentati, però ci dovrebbe far stare in un determinato modo. Come ci sto, ci sto? Perché sono tutte situazioni da cui noi tendiamo a schizzar fuori, tutti, tutti, tutti . perché sono sgradevoli, umanamente parlando, per cui il cammino non è facile, è un cammino esigente, sappiamo elaborarle queste cose?

"Resilienza" nel perseverare nel bene - Fino a che punto siamo diventati capaci di durare nella fatica facendo il bene? È un modo un po' diverso di dire perseverare nel bene, è vangelo, l'ho detto in un modo un po' diverso, quindi sa un po' meno di già sentito, ma il discorso è lo stesso. Perseverare nella fatica facendo il bene.

La lucidità senza speranza diventa cinismo - Mi pare che dobbiamo usare il nostro senso critico, essere aiutati ad utilizzarlo ed aiutare gli altri ad utilizzarlo. È un buon segno quando una persona ha un senso critico sviluppato, che non vuol dire è un criticone, che non ha un rapporto da "pesce lesso", che ci sta in un modo che morde un po' il reale, che si accorge, che vede, che mette insieme le cose che gli tornano - diceva Casati: "dove il buio è interrogarsi senza capire", però interrogarsi sì. Questo apparato critico, se lo sviluppo, costituisce un po' l'antidoto ad una vita pensata all'insegna dell'illusione e della ideologia, però anche. Tante volte andiamo avanti per luoghi comuni, per frasi fatte. Lucidità come antidoto a queste cose, ma la lucidità da sola sapete cosa genera? Quello che oggi è così comune, lo leggiamo, lo vediamo, certe volte ne siamo tentati, la strada della rassegnazione, cinismo, indifferenza, un po' il clima di oggi . intanto, o ancora più cinico "tsé". Lo sapete perché questi esiti? Perché c'è la lucidità, per cui si fa la lettura delle cose, e certe volte non è una lettura che diventi entusiasmante, ma manca la speranza . oggi manca la speranza . nella chiesa, fuori della chiesa, accanto alla chiesa, credenti, non credenti . manca la speranza, perché è vero che oggi è difficile sperare, è sempre difficile sperare, ma oggi è veramente difficile sperare.

La speranza assieme alla lucidità fanno una appartenenza responsabile - Primo versetto del vostro salmo stasera "ho sperato nel signore contro ogni speranza", anche Abramo, secondo la lettera agli Ebrei ha vissuto così "sperando contro ogni speranza", si era fatto delle speranze ed erano andate giù come i birilli ad una ad una . contro ogni speranza che si infrangeva ha continuato a sperare - oggi tante volte è così. Speranza e lucidità insieme - quando si riesce a tenere insieme questo composto, fanno nascere un frutto che è molto grandemente auspicabile, oggi un po' carente dentro e fuori della chiesa, che è quello di una appartenenza responsabile, cioè entro in una situazione, ne vedo i limiti, ma mi ci gioco - "I care", mi sta a cuore, mi riguarda - oggi di solito diciamo "non mi riguarda" . l'appartenenza, ne vedo i limiti, ma mi riguarda, mi ci gioco . come posso? Con gli altri, che a loro volta ci si giocano.

Relazione significa alterità - due alterità: l'ultimo e il nemico - Ecco un'ultima cosa, siamo dentro al discorso della relazione, di relazione si parla oggi e continuamente, questa sera non abbiamo nominato questa parola, ma se provate a ripensare ciò che ci siamo detti, è tutto dentro la relazione - l'uomo con se stesso, l'uomo con dio, l'uomo con gli altri uomini, l'uomo con la creazione . sono relazioni. Parlando di relazioni si parla di alterità, perché la relazione è con qualcosa che è altro da me, se no è una fusione; il vangelo dentro la gamma delle alterità che mette a tema, mette due figure di altri, e mi chiede un po' "prova a verificare come stai lì": una è "l'ultimo", l'ultimo è uno davanti al quale si fa un passo indietro, il vangelo è pieno di ultimi, Gesù ha avuto un amore speciale per gli ultimi, ha amato tutti, ma gli ultimi in particolare, e l'altro - che è ancora più difficile - è "il nemico". Queste due categorie di persone sembrano un po' nevralgiche nel vangelo, e mi domandano a proposito di relazione "quanta capacità, o perlomeno desiderio ho di mettermi in relazione con l'ultimo?". Il grande momento di conversione di san Francesco - lo lascia scritto nel suo testamento - è quando lui, che aveva ribrezzo dei lebbrosi, riesce - sarebbe lungo qui dire perché ci è riuscito, non è una cosa casuale, non è uno sforzo di volontà, è un processo che avviene dentro Francesco, però quello lì è un segnale - Francesco scende da cavallo, abbraccia il lebbroso e lo bacia, quello è un momento di passaggio. Allora in me c'è desiderio, perlomeno, se non capacità, di fare un passo verso l'ultimo? Per ciascuno di noi l'ultimo ha un volto particolare, perché la gamma purtroppo è infinita, e non bisogna pensare soltanto ai poveri della Caritas, ai tossicodipendenti, si può essere ultimi in tanti modi, ci sono delle ultimità per noi, che davvero ci fanno fare un passo indietro, che magari non fanno parte del mondo dei "poveri" socialmente intesi, va verso quell'ultimo, mi pare che il mio cammino di fede, cammino di essere credente, mi sta aiutando, almeno a pormi la domanda, il desiderio di andare? E l'altra domanda è questa: mi pare che "il nemico" - lo so che sto dicendo una cosa bestiale - in qualche modo è necessario? Ve la lascio .

Povertà filiale - E poi tutta la riflessione dei cristiani dei primi secoli, la nostra fede è fondata lì - che ne siamo più o meno consapevoli - ha lavorato sull'itinerario di questo uomo, preso lì dov'è, ma nello stesso tempo chiamato, vocato a quella pienezza che gli viene offerta, anche perché - sapete - c'è una vocazione già inscritta nella creazione, la vocazione è anzitutto una chiamata alla vita, ma "creatura", se ci pensate un attimo, quel "ura" vuol dire una cosa che non è ancora compiuta - provate a pensare un'altra parola che finisce per "ura" . "ave Caesar, morituri te salutant", coloro che moriranno, che stanno per morire, ti salutano, la creatura è per sua espressione, anche nella parola che noi usiamo, un qualcosa che non è compiuto in sé, si sta compiendo, è in fase di compimento, quindi la creazione è in movimento - poi Paolo lo riprenderà questo discorso, in quel bellissimo passo "la creazione geme e soffre nelle doglie del parto, perché vuol partecipare alla liberà dei figli di dio" - tutta questa sorte di gestazione cosmica, tutta la creazione, con dentro a questa creazione, come anticipo, primato, l'uomo che ne è un po' interprete della creazione, allora c'è una vocazione già dentro la creazione, la creazione ha da compiersi, non è compiuta.L'identità finale dell'uomo - perché di quello si voleva parlar stasera - la tradurrei con queste due parole, l'abbiamo detto in tanti modi, no? Che riprende, non a caso, un po' quella doppia dimensione, che vi dicevo, all'inizio della Genesi: "la radice dell'uomo radica e porta a frutto là dove è infilata nella terra della povertà filiale". Dove "povertà" dice creaturalità, dice limite, dice peccato, dice fango, comunque terra, dice mortalità, dice fragilità e tutto quello che volete aggiungere voi. "Filiale" ci dice quella dimensione divina che ci viene offerta in Gesù, perché possiamo compiere, ogni giorno, il nostro cammino verso la verità e la nostra pienezza.

Eccola lì. Io quello che più o meno ho pensato di dirvi, ve l'ho detto .

fra Luca Pozzi - 3 dicembre 2013

 



Luigi Accattoli: papa Francesco a 50 anni dal Concilio Vaticano II

 

1) In Conclave nessuno dei presenti ha partecipato al Vaticano II di 50 anni fa - Bergoglio non ha avuto nessun ruolo, né diretto, né indiretto nel Concilio. Questo è un fatto importante - ricorre spesso nella storia della Chiesa - i Concili esplicano il meglio della loro influenza storica quando i protagonisti delle assemblee conciliari non ci sono più. Papa Francesco non parla del Concilio, probabilmente non metterà a tema della sua predicazione la interpretazione del Vaticano II.

2) 45 anni dalla Conferenza di Medellin - conferenza dell'Episcopato latino-americano che si è tenuta in Colombia, in cui si affermò la scelta preferenziale per i poveri. Papa Francesco, tre giorni dopo l'elezione, parlando a noi giornalisti, ha detto "come vorrei una chiesa povera, per i poveri". Ad Aparecida in Basile nel 2007 Bergoglio è stato il redattore del documento finale - il volto di Cristo va cercato nei disoccupati, nei baraccati, nei malati di Aids, nei drogati. Giovanni XXIII, dopo la prima riunione dell'Episcopato latino-americano nel 1955 a Rio de Janeiro, disse in un radio messaggio dell'11 settembre 1962, a un mese dal Concilio "la chiesa vuole presentarsi al mondo con questo Concilio come chiesa di tutti e principalmente chiesa dei poveri".

3) I latino-americani rispetto alle chiese europee sono una chiesa viva, vivace, sono quasi la metà dei cattolici, mezzo miliardo di fedeli, le chiese europee sono in grande crisi, la crisi di fede dell'Europa era il tormento di Benedetto XVI, egli ha parlato di "crisi della fede", non di qualcosa che si può rimediare facilmente. Mentre avvenivano le ricorrenze per il 50° del Vaticano II, il sinodo di vescovi era riunito a fare il punto della situazione: i vescovi europei rappresentavano la loro situazione come drammatica, quelli sudamericani, africani, indiani, parlavano invece in modo positivo. Ecco perché riuscii ad intuire, a sperare, che il prossimo papa non poteva essere europeo - africano o indiano sarebbe stato troppo distante - in fondo lo spagnolo è una lingua neolatina.

4) Gli aspetti conciliari di Francesco - a) Vescovo di Roma, nel rispetto della enunciazione di "chiesa locale" del concilio, l'insieme delle chiese locali, sotto la presidenza del papa sono la "chiesa cattolica", da qui deriva la dottrina della collegialità. Francesco tutti gli altri titoli li mette nella seconda pagina dell'annuario pontificio. Presentandosi come vescovo di Roma ha voluto tendere la mano alle chiese non cattoliche. b) iniziamo insieme questo cammino, vescovo e popolo, in osservanza alla dottrina conciliare di "popolo di Dio". c) "per rispettare i non credenti che sono tra voi - ha detto Francesco ai giornalisti - la benedizione la dò in silenzio", questo è il principio della laicità, inteso in modo corretto, che è formulato dal Vaticano II. d) l'uscita verso il mondo, nelle periferie, come da documento "ad gentes" del concilio. e) la collegialità, cioè il governo della chiesa in unione tra papa e vescovi: Francesco ha costituito un gruppo di cardinali per averne aiuto nel governo della chiesa universale, sono otto cardinali (la parte di riforma della Curia è transeunte, l'aiuto a carattere permanente). f) semplificazione e normalità: una nuova immagine papale dopo quella dei papi conciliari.

- che influenza potrebbe avere un papa così sulla politica italiana? Penso che avrà molta influenza sulla cultura del nostro paese, non sulla politica. Per ora sono gesti, sono discorsi, ma ad un certo punto dovranno arrivare delle decisioni pratiche. Tutto dipende se la chiesa saprà assecondare queste proposte. Lui non vuole intervenire nella politica, non vuole che si identifichi la posizione della chiesa con la propaganda, affermazione di una linea politica. Ha detto ai vescovi italiani che il dialogo con le istituzioni statali, politiche, culturali, sociali, è cosa vostra.

- il cardinale Martini più volte ha affermato che la chiesa doveva affrontare problemi grossi, soprattutto il dialogo con i giovani, con molti problemi spinosi posti dalla società. Il papa Bergoglio, pur essendo gesuita come Martini non ha questa veduta; nel cardinale Martini c'era molta più grinta intellettuale, da uno dell'Europa, da dialogante con la "intellighenzia" europea, il cardinale Bergoglio è il pastore delle periferie, non nel senso che sia rozzo, ma nel senso che ha una veduta più strettamente pastorale, spirituale, che non culturale e intellettuale come quella di Martini.

- c'è una forte discontinuità tra la figura di Benedetto e Francesco, come si può comprendere che sia avvenuto un passaggio con questa grande discontinuità? Invito ad interpretare secondo le linee da me enunciate - dice Accattoli - la continuità sta nel profondo, il teologo Ratzinger si è battuto perché il concilio affermasse il principio della collegialità, adesso c'è un papa che coerentemente applica la collegialità .

                                                                              incontro promosso e organizzato dai due CCP – anno 2013

 



Lorenzo Caselli: fare economia con le categorie della fede

 

Caselli ha dapprima tratteggiato la realtà contradditoria della situazione economica odierna. Aveva di fronte un uditorio adulto, che in massima parte ha alle spalle una lunga frequentazione dello spirito evangelico. Ha avuto modo, quindi, di approfondire aspetti non strettamente di ambito economico nel modo di porsi di fronte a questa realtà complessa.

Anche la scienza più recente (quella delle particelle) e, volendo anche i grandi maestri della psiche umana (psichiatri e psicologi), sono arrivati alla conclusione che la verità più profonda ha le radici nella ambiguità, realtà difficilmente assumibile dalla razionalità. Dice lo psichiatra Andreoli che la psiche ha una "struttura diversa" rispetto al razionale (un po' quelle che comunemente si definiscono le "ragioni del cuore"), che non si lascia spiegare dalla prassi del "metodo scientifico".

Per Caselli l'economia del futuro non può basarsi solo sulla sovranità del mercato, abbiamo tutti sotto gli occhi i guasti della globalizzazione: per molti strati di popolazione del mondo occidentale si è trasformata in disagio economico, perdita di competitività e quindi di posti di lavoro, per alcune popolazioni europee, invece, come occasione di emancipazione dalla povertà. Nel mondo occidentale nostro solo chi ha la forza di speculare a qualunque costo, riesce ad essere ricco. Questo atteggiamento assume spesso il carattere di compulsività, perché l'accumulo non basta mai, esso diventa l'unica ragione di vita, al prezzo di una grossa perdita di identità. Al prezzo finale comunque di una profonda infelicità (chi non ricorda la novella "La roba" del Verga?).

Date queste evidenze, allora la generazione dei nostri figli si potrà porre la domanda: produrre sì, ma che scopo? Il mercato deve essere l'unico regolatore di questa attività? No - risponde fermamente Caselli - la qualità di vita dovrà essere un parametro altrettanto importante. L'economia allora deve assumere altre categorie, come quelle della solidarietà, della gratuità, del rispetto della dignità umana, dell'ambiente, del socialmente utile, di una virtuosa suddivisione tra pubblico e privato. Alcune di queste parole sono "leitmotiv" nelle ultime generazioni dei papi.

Come procedere in concreto? Molti, anche nel dibattito che è seguito, hanno affermato che si può partire dalle piccole realtà (famiglia, comunità, associazioni, comune, per noi il Tigullio), essere attenti al dialogo con le altre realtà, affinché ad un certo punto il nuovo pensiero possa svilupparsi ad un livello più ampio, politico se vogliamo, ma con una grande sperimentazione alle spalle. L'altra attenzione deve essere quella ai bisogni concreti della gente. In questo senso ci sono già alcune realtà come micro-credito, banca del tempo, acquisti solidali, alcune esperienze ispirate alle idee di Chiara Lubich .

A prima vista questa può semplicemente apparire come "tattica di sopravvivenza" e non come un ideale da portare avanti in modo più irruente. Ci può stare la critica, ma se vogliamo che le generazioni future possano assimilare questi concetti in concreto e non solo a paroloni, ebbene, le nostre famiglie debbono dare loro evidenza che almeno nel piccolo certe cose sono realizzabili e funzionano.

La nostra generazione non vedrà questa rivoluzione - dice Caselli - i tempi sono necessariamente molto lunghi. Non deve essere un scusa per non incominciare da subito, oggi stesso.

                                                                                                                                         Anno 2013 - G.Barbieri

 



fra Luca Pozzi e la «Dei Verbum»

San Bartolomeo della Ginestra. Ieri sera, 12 marzo 2013, abbiamo ascoltato con piacere ed attenzione il racconto di fra Luca Pozzi sulla Dei Verbum, in occasione dell'anno della fede e del 50° del Concilio Vaticano II.

Anticipo per chiarezza le conclusioni, che si possono riassumere nel fatto che la "parola di Dio" la si trova eminentemente in tre ambiti: la scrittura, la persona, il creato. La parola di Dio è cosa più ampia della scrittura, la scrittura in fondo è un libro, ma come la calligrafia, di per sé semplice inchiostro su una pagina di carta, fa capire a chi la sa leggere il mondo interiore dello scrivente, così la scrittura a chi la sa leggere fa capire chi è Dio.

Queste conclusioni presuppongono davvero tutto un mondo di realtà, come il fatto che la scrittura è viva per la fede di chi la incontra, e la fede di costui si arricchisce con la scrittura. Ma come fa la fede ad essere autentica, vera?

Fra Luca non transige, solo con la vita vissuta, e la vita vissuta presuppone la relazione con l'altro, il riconoscersi comunità, il darsi vicendevolmente parole e gesti di vita. La fede non può essere viva solo per l'opera dei vescovi e dei parroci, senza l'afflato corale di tutti la scrittura rimane cosa morta. Il primo presupposto è che molti, tutti a rigore, abbiano in sé la curiosità di scoprire, di approfondire la relazione con Dio e il prossimo.

Oggi la tecnologia spesso ci nasconde la realtà della natura che ci circonda; chi mai scrivendo una lettera col computer va a pensare alla danza degli elettroni nei singoli transistor che commutano, che sono dimensionati per date velocità di esecuzione, per una certa dissipazione . e altro ancora? Così è per la realtà che sta attorno a noi. San Francesco sapeva parlare agli uccelli, era molto in sintonia, oggi abbiamo perso quella sensibilità. Eppure, parlo per esperienza vissuta, la provvidenza la si riconosce anche attraverso questo tipo di lettura.

In un approfondimento legato ad un intervento, dopo la relazione, per sottolineare che l'uomo di fede mai deve correre il rischio del fondamentalismo, ha raccontato come il Genesi sia posteriore alla esperienza dell'esodo, del deserto, non è quindi il libro più antico, esso è fondamentalmente un racconto simbolico, scritto per evocare la realtà di Dio e dell'umanità, appunto la "parola di Dio".

Il seme è gettato (da Dio che previene), noi siamo il terreno che lo accoglie. Che terreno vogliamo essere?

                                                                                                                                          Anno 2013 - G.Barbieri

Catechesi anno 2017 - Massimo Recalcati - Enzo Bianchi

Catechesi anno 2016 - mons. Gero Marino - don Luciano - Arianna Prevedello - Raffaele Luise - suor Maria Gioia Riva - Gabriella Caramore - Serena Noceti

Catechesi anno 2015 - don Luciano - Massimo Recalcati

Catechesi anno 2014 - mons. Gero Marino