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Se qualcuno vuol venire dietro a me - Mc 8,27-35

L’episodio che ascoltiamo oggi dal vangelo, sta proprio a metà del racconto dell’attività missionaria di Gesù e fa da spartiacque tra una prima parte, nella quale l’azione di Gesù è rivolta prevalentemente a incontrare folle numerose e una seconda parte, nella quale Gesù si dedica prevalentemente ai discepoli. Possiamo pensare il vangelo di Marco composto da due sezioni: “Dal Battesimo al Giordano fino a Cesarea di Filippo” e “Da Cesarea di Filippo fino a Gerusalemme”.

Cesarea di Filippo è una città collocata al nord della Palestina, alle pendici del monte Hermon da dove nasce il fiume Giordano; è un territorio ricco di vegetazione, il fiume scorre limpido formando piccole cascate, sulle rocce numerosi iraci sono intenti a scaldarsi al sole. Di quella città oggi si possono ancora vedere le rovine di templi dedicati al Dio Pan. Filippo, fratello di Erode rifondò la città e, per propiziarsi la protezione dell’imperatore, la chiamò Cesarea.

Gesù raccoglie attorno a sé gli apostoli per una sorta di verifica sui frutti della sua attività missionaria. È facile rispondere alla prima domanda perché si tratta di riferire le opinioni di altri: ciò che si è ascoltato nei capannelli formatisi agli angoli delle piazze, le cose udite girando tra i banchi del mercato. Strano il paragone con Giovanni Battista, suo contemporaneo; comprensibile quello con Elia, Geremia o un altro degli antichi profeti, grandi personaggi ai quali si può paragonare Gesù.

Certo molto più impegnativa è la seconda domanda: “Ma voi chi dite che io sia?” Di fronte a questa domanda non si tratta più di riportare le opinioni di altri, ma di esprimere la propria posizione personale. Quando si parla di una persona presente, non si può trattarla come fosse un oggetto inanimato, come una cosa che si può descrivere senza esserne toccati. Quando si parla di una persona, quando si prova a dire chi è, si deve necessariamente anche dire chi è per me, come mi pongo io in relazione con lui, con il suo pensiero, con il suo modo di vivere.

Possiamo qui raccogliere una prima applicazione per la nostra vita cristiana e pensare che anche a noi Gesù rivolga la medesima domanda: “Voi chi dite che io sia?”. Anche per noi non si tratta di dare una definizione, di applicare a Gesù una formula del catechismo, si tratta di esprimere la nostra posizione personale riguardo a Gesù, di dire come la fede in Lui determina le scelte della vita.

Pietro, con il suo consueto slancio, prende il coraggio a due mani e si butta a rispondere: “Tu sei il Cristo!”. Utilizzando le categorie della fede ebraica Pietro dice che Gesù è il personaggio più importante, che viene a compiere l’alleanza con Dio, che viene a dare un senso nuovo alla vita.

Gesù accoglie la professione di fede di Pietro, ma immediatamente si preoccupa che nessuno lo venga a sapere, perché quell’affermazione può essere intesa in modo equivoco. In seguito precisa il modo con cui egli realizzerà la sua missione: identificandosi con il servo sofferente, annuncia che egli sarà messia passando per la via della sofferenza patita fino alla morte sulla croce. Troviamo qui l’altro messaggio importante: Gesù già da questo momento è consapevole del suo percorso di sofferenza e vi aderisce consapevolmente. Come fa Gesù a non fuggire da quella terribile prospettiva e andare incontro ad essa fiducioso? Gesù vede in quell’appuntamento l’occasione di vivere fino in fondo la coscienza che guida la sua vita. Egli sa di essere figlio di Dio e nella sofferenza potrà vivere la definitiva consegna all’amore del Padre. In questo modo traccia la strada perché ognuno di noi possa, attraverso di Lui, imparare a essere figlio, e nella fiducia in Dio che è Padre, avere la forza per dare senso alla vita.

il Parroco